«Quel ricordo che ha il sapore di Terra Rossa»
di Gabriel Passaretti
Terra Rossa. Così è chiamata quella parte di territorio che si affaccia sull’Adriatico orientale. Rossa per via della presenza dei sedimenti di rocce calcaree discioltesi nel corso dei millenni che con le adeguate condizioni climatiche assumono colori che vanno dall’arancione scuro al rosso acceso, tipici delle campagne “d’oltremanica”. La storia del nostro paese è legata a doppio filo con questi territori, per motivi storici culturali e non solo. Quando si parla di quelle terre che oggi corrispondono all’ex Jugoslavia, bisogna ricordare che per millenni le comunità “italiane” o comunque italofone, hanno contraddistinto sempre la maggioranza degli abitanti dell’Istria e della Dalmazia, specialmente nelle grandi città, Zara e Fiume su tutte con picchi italofoni del 60-70%. Nel corso dei secoli la convivenza tra la maggioranza italofona e le minoranze slave funzionò senza grandi problemi, realizzando una delle poche integrazioni durature della storia, fino all’avvento del fascismo che, di fatto, impose una “italianizzazione” di quelle minoranze, in virtù del loro essere una minoranza orbitante intorno alla sfera d’influenza di una nazione emergente figlia del suo tempo, l’Italia di Mussolini. Il Governo fascista, stanco delle ipocrisie britanniche e francesi, adottò la ferma convinzione di poter e dover guadagnare spazio per fortificare il proprio peso politico e bellico e di soddisfare le richieste di annessione che dai dalmati giuliani giungevano a gran voce, il tutto in un’Europa perennemente in guerra. Già qualche anno prima, nel 1919 il poeta soldato Gabriele D’annunzio a seguito del nefasto esito del trattato di Parigi decise (invocato dagli stessi fiumani) di organizzare quella che passerà alla storia come l’impresa di Fiume. La riconquista delle terre oppresse fu’ relativamente facile per il Vate, grazie soprattutto al consenso della popolazione fiumana. Per qualche mese sembrò che la cosa potesse avere un buon esito e raggiungere il proprio fine, nella speranza di poter giungere alla tanto agognata annessione della città all’Italia. Tuttavia dopo il trattato di Rapallo che vide impegnato il Governo Italiano e quello del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, fu deciso che Fiume sarebbe diventata una città stato indipendente. Il trattato fu’ rigettato da D’annunzio che continuò la sua rivolta nonostante l’embargo italiano, grazie ai fondi raccolti in Patria da un sempre più reticente Benito Mussolini. L’impresa fiumana finì in un bagno di sangue per opera del Regio Esercito Italiano, guidato dal generale Caviglia contro i Legionari fiumani, il 26 dicembre 1920, azione che passerà alla storia come il “Natale di sangue”. La pretesa italiana sulle terre sottomesse non può essere bollata come imperialistica, non è, infatti, dell’Etiopia che parliamo ma di territori dove vivevano da secoli comunità di “italiani”, sembrò quindi ovvia e del tutto legittima la pretesa su quei territori. L’epilogo di una delle poche storie funzionanti d’integrazione tra etnie diverse, (nonostante la repressione culturale fascista) raggiunse il suo triste e macabro termine con la fine della Seconda Guerra Mondiale e il ritiro delle truppe italiane da Istria e Dalmazia. Gli slavi fomentati dai partigiani guidati dal maresciallo comunista Tito, iniziarono un’autentica pulizia etnica nei confronti degli italiani “d’oltremanica”. Le epurazioni nelle città furono eseguite tra le più atroci barbarie con stupri, violenze e saccheggi all’ordine del giorno mentre le istituzioni, le anagrafi e le chiese furono bruciate e demolite. Fu applicata una vera e propria damnatio memoriae nei confronti di ciò che avrebbe potuto lontanamente ricordare l’Italia o gli italiani. Tra le migliaia di vittime innocenti vogliamo ricordare la studentessa ventitreenne Norma Cossetto, stuprata ripetutamente per due giorni da 17 partigiani titini, completamente ubriachi, e poi giustiziata nei pressi della foiba di Villa Surani. Gli omicidi e le esecuzioni di civili colpevoli solo di essere italiani culminò in un particolare metodo d’esecuzione: lo sterminio tramite foiba. Che cos’è una foiba? E’ una caverna verticale, un inghiottitoio naturale tipico della regione giuliana, una piccola apertura che penetra per diverse decine di metri verso il sottosuolo. I partigiani titini mai parchi di violenze e abusi, decisero di sfruttare questa formazione geologica per uccidere più italiani possibile. L’esecuzione consisteva nel condurre nei pressi della foiba un numero di prigionieri in fila indiana, legati l’un l’altro per mezzo di una catena. Al primo era inferto un colpo di pistola alla testa, il secondo, tirato giù dal primo, precipitava vivo nella foiba. E’ stato dimostrato che molti di chi fu gettato nelle foibe sopravvisse alla caduta, dovendo far i conti con una morte lenta e terribile, circondati da donne vecchi uomini e bambini agonizzanti tra i cadaveri. Così iniziò l’esodo degli italiani dalmati, migliaia di disperati fuggirono dagli orrori dei partigiani titini, cercando solidarietà e aiuto in Italia. Non sempre lo trovarono, quasi mai dalle istituzioni a quel tempo simpatizzanti per lo stesso Tito e certamente filo comuniste. Avvenne incredibilmente nel 1948 un “contro esodo”, circa 2500 monfalconesi spinti da un’incrollabile fede nel comunismo, decisero di abbandonare l’Italia per offrire le loro competenze professionali al Maresciallo Tito, furono spesso discriminati nonostante la loro cieca fede comunista perché prima di essere qualsiasi altra cosa erano italiani. Per 70 anni l’olocausto delle foibe è stato volutamente dimenticato, troppo scomodo parlarne, poco conveniente istituire una giornata del ricordo di quegli innocenti assassinati in modo barbaro dai partigiani comunisti. C’è stato qualcuno che nei decenni non ha dimenticato, che ha mantenuto acceso il fuoco della memoria fino ad oggi, 10 febbraio 2020. Un “oggi” in cui chi parla di foibe non è più tacciato di revisionismo, ridicolizzato o segnato come fascista, salvo i soliti irriducibili soggetti del circoletto del “restiamo umani”, che giustificano le peggiori porcherie possibili con argomentazioni ridicole. Oggi 10 febbraio 2020, Noi ricordiamo.

