Mani pulite: non era tutto oro quello che luccicava
Fu un colpo di stato che cambiò i rapporti costituzionali tra Magistratura e Politica allargando a dismisura il potere della magistratura che sopravvive ancora oggi.
Mi è capitato in questi giorni di rileggere un piccolo libro scritto da Piero Tony, passato nel silenzio generale (Io non posso tacere. Confessioni di un giudice di sinistra, Einaudi 2015).
Tony, già sostituto procuratore generale di Firenze e da ultimo procuratore di Prato, decise di andare in pensione con due anni di anticipo per essere libero di denunciare un fenomeno tutto italiano, quello dei magistrati che spesso trasformano gli strumenti di indagine in pistole puntate contro i cittadini, usandole poi per combattere battaglie politiche.

Il suo è un racconto sconcertante perché, ben prima del Sistema raccontato dall’ex capo dell’Associazione Magistrati Luca Palamara, rivela l’esistenza di un virus capace di indebolire la giustizia del nostro Paese.
Da queste denunce provenienti dall’interno stesso della magistratura si capisce meglio come Mani Pulite sia stata una gigantesca mistificazione che ha sfiorato un vero e proprio reato di attentato agli organi costituzionali.
Le recenti rivelazioni del magistrato Guido Salvini, giudice presso il Tribunale di Milano, confermano appieno queste sensazioni.
Egli racconta il trucco del Pool di Mani Pulite per arrestare gli indagati. Per evitare di doversi confrontare con l’opinione di più giudici che avrebbero potuto ostacolare la strategia definita prima ancora di aver scovato i reati (l’ufficio del Gip di Milano contava una ventina di magistrati), il pool costituì, a partire dall’arresto di Mario Chiesa, un solo fascicolo che aveva quindi un solo Gip di riferimento.
In realtà si trattava di un registro che riguardava centinaia e centinaia di indagati che nemmeno si conoscevano tra loro e fatti tra loro completamente diversi. Insomma, un fascicolo che si poteva allargare a piacere e che consentiva indagini “a strascico”. A seconda della convenienza si poteva indagare chiunque e per qualunque cosa.
Un fatto di straordinaria gravità in uno stato di diritto, ai limiti dell’illegalità, utilizzato in modo aperto, sprezzante, provocatorio. Che sfruttò, va detto, la debolezza della politica e l’insipienza di una classe politica impaurita.
Un’operazione a suo tempo osannata da tutti i mezzi di comunicazione e sostenuta da un moto popolare con cortei che giravano per Milano al grido “Di Pietro facci sognare”. Lo stesso magistrato che, dimessosi dall’ordine giudiziario, si fece nominare ministro e che poi fondò un partito salvo poi scoprire che i rimborsi elettorali anziché al partito erano stati indirizzati verso l’associazione di famiglia.
Cosa resta di quegli avvenimenti? Sicuramente le macerie dei partiti politici. Ma sarebbe utile per tutti se coloro che furono affascinati dagli inquisitori di quel tempo si fossero convinti che non ci si può innamorare dei capipopolotravestiti da salvatori della patria.