La ‘Ndrezzata: le origini

La ‘Ndrezzata: le origini

La ‘Ndrezzata è la famigerata danza buonopanese che si tramanda di padre in figlio (abito compreso). È un vanto della nostra cultura, nonché patrimonio culturale immateriale della Campania (decreto dirigenziale n. 205 del 07/10/2019). Si compone di un numero variabile di partecipanti, con il caporale o primo ballerino, i tamburelli e il/i clarinetto/i. Per i buonopanesi, il numero perfetto di partecipanti è 16 (8+8), più caporale e musicisti. Viene effettuata, solitamente e con le dovute eccezioni, il 24 giugno giorno di San Giovanni, e il lunedì in Albis. Si compone di tre parti: sfilata, predica e danza. Gli ‘ndrezzatori con il corsetto verde, rappresentano il sesso femminile e, quelli con il corsetto rosso, gli uomini. Questo nonostante storicamente, al momento, io non abbia mai trovato una partecipazione mista durante il ballo. Ci sono state, e ci sono, donne che hanno e indossano la divisa, ma non direttamente e attivamente partecipanti al corpo della danza. Nei vecchi filmati degli anni ’30, si vedono delle donne in abito tradizionale, ma esse non hanno una partecipazione attiva al ballo. Il clarinetto invece, è stato suonato da nostre care musiciste Antonella e Cinzia. Della danza sono stati caporali i miei avi, a cui dedico il mio lavoro di ricostruzione: Fiorenzo e Tommaso Di Iorio (voi vivete nella nostra storia). Si formano due cerchi concentrici di “maschi e femmine” e avvengono entrate, uscite, parate e stoccate. Il tutto cantando il testo, ed elevando il caporale sui mazzarielli che si esibirà con “la predica”. Nella mano sinistra la spada, e nella destra il mazzariello che, se mal recapitato, dona marchi vistosi sulle mani dei partecipanti (non è raro vedere del sangue sugli stessi mazzarielli scheggiati). Secondo la credenza popolare locale, la ‘Ndrezzata si svolgerebbe in segno di conciliazione dei buonopanesi con i rivali di Contrada Barano. Qui sarebbe stata effettuata la pace tra i due schieramenti. Gli abiti dell’attuale ‘Ndrezzata, furono disegnati e acquistati da Vera Menegazzi, moglie del Dottor Piero Malcovati. Questo negli anni ’50.
Per quanto riguarda l’origine di questa danza, sappiamo ancora poco. Ma iniziamo col dire che non abbiamo elementi, d’archivio o archeologici per definirla greca. Non possiamo nemmeno affermare che sia d’origine ischitana, ma che è tipicamente tale. La “pista investigativa” che sto seguendo, vede la ‘Ndrezzata come una derivazione da una tradizione partenopea. A sostegno di questa tesi, cito l’Abate Francesco Galiani che, nella sua opera del 1779 “Del dialetto napoletano” a pag. 133, afferma: “passiamo all’ode saffica dello Sgruttendio per accompagnare col canto quella specie di antichissima danza pirrica conservata dal nostro popolo che la balla anche oggi con le spade nude in mano, ovvero in luogo di esse con alcuni bastoni inghirlandati di fiori, sostituiti alle spade per evitare qualche sinistro caso, onde ha preso il nome di imperticata. Comunemente però dicesi Intrezzata, ed usa il popolo nel carnevale mascherarsi formando qualche compagnia di persone, ed andarla a ballare sotto le finestre delle amanti, e più comunemente sotto quelle dei Signori, che quindi gettano qualche denaro per mancia ai danzanti, e ai suonatori. Quest’ode ha il pregio di essere la più antica ode saffica che sia stata composta nelle lingue volgari, per quanto è a noi noto”. L’autore era già noto a Bianca Maria Galanti, autrice del libro “La danza della spada in Italia”, 1942. Stesso discorso per l’avvocato Alessio Milone che nei primi decenni del Novecento aveva ricostruito e posto per iscritto i testi della ‘Ndrezzata. Questa danza ha ricevuto nel corso del tempo innumerevoli contaminazioni, nei testi e nelle movenze. Giuseppe Rossi in “un antichissima danza nell’isola di Ischia” Roma della domenica, 28 aprile 1935, afferma che il tenore della canzone, e soprattutto le parole della predica finale sembrano del tutto estranee all’azione. Ma vi è di più: dominano nel canto e nelle parole una nostalgia marinaresca e precisazioni di carattere peschereccio che mal si conciliano con l’indole e con le abitudini dei buonopanesi, artigiani e agricoltori che vivono lontano dal mare e dalla sua malìa. Facendo un passo indietro al testo “di Filippo Sgruttendio e della sua poesia”, osserviamo come questo autore abbia dedicato un’ode ad una ragazza di nome Cecca, e che il titolo sia proprio “La ‘Ntrezzata”. Egli afferma che la stessa fosse il nome di un nostro ballo popolare durato fino allo intero sparimento delle nostre patrie tradizioni, cioè allo scorcio del secolo passato, ovvero il ‘500. Nel quale ballo gli uomini a simiglianza di quelli di Tracia secondo narra Senofonte, saltavano armati di spade a tempi del poeta, e poi a tempi posteriori, cioè un secolo dopo, mutate le spade in pertiche infiorate, il ballo mutò nome e fu detto imperticata. Questa danza pare che non si fosse mai intralasciata tra noi, essendo durata bella e intera, e con l’uso delle armi fino quasi al diciassettesimo secolo.
Che la ‘Ndrezzata abbia origini antiche, lo sappiamo. Tuttavia, essa si è originata da un qualcosa che è molto probabilmente diverso rispetto a quello che siamo abituati a vedere oggi. Salvatore Argenziano e Gianna De Filippis in “Etnomusica e Poesia Popolare della Campania” affermano: “questa danza coreografica, derivata dalla Sfessania, era detta pure ‘mperticata, una specie di danza delle spade, che si svolgeva agitando e incrociando dei bastoni. Il ballo di Sfessania è detto anche Lucia e Tubba Catubba.
Tipica danza cinquecentesca napoletana alla quale si fa risalire il ritmo della tarantella. Trattasi di danza figurata e molto movimentata, ed eseguita da numerose coppie”. Sfessania starebbe a indicare la spossatezza che derivava ai ballerini che risultavano sfessati, alla fine della danza”. Proprio su questi balli cinquecenteschi sto indagando per individuare con più precisione le abitudini che hanno portato alla formazione della danza. Aggiungo che il D’Ascia, nella sua “Storia dell’isola d’Ischia” del 1867 offre una descrizione non molto accurata, e afferma: “si conserva con religioso occulto un ballo figurato particolare, che chiamano la Nndirizzata… A questo ballo ginnastico grazioso, a mo’ di battuta musicale, vi uniscono ancora un coro di alcune parole accentate le quali indicano la parte, o un concerto del ballo da eseguirsi; in maniera che alla chiamata del primo ballerino, p. E. Dicendo questi lu trè, tutti in un tempo cambiano movenza, e passo; cantilena e metro, ginnastica e battute di piedi e di bastoni, a seconda che più larga o più stretta, più Piana o più sollecita sia la parte della danza da eseguirsi a quella chiamata. Questo ballo figurato antico propriamente i moropanesi sanno eseguire bene, e precisamente quei tali che come eredità domestica lo impararono dai propri padri, e che essi con culto ed orgoglio tradizionale conservano, perché esprime le abitudini, le tradizioni bellicose dei loro maggiori”. Purtroppo il D’Ascia non ci offre altre informazioni circa i testi e le origini, a conferma che si tratta di una tradizione tramandata oralmente. Nel 1588 nel suo “dei rimedi naturali che sono nell’isola di Pitechusa, hoggi detta Ischia”, a pag. 36, il dottor Giulio Jasolino afferma: “in questo Casale (Barano), che dopo Furio è il maggiore degli altri, le persone grandemente del ballare si dilettano”. È un riferimento purtroppo abbastanza generico per affermare che si trattasse del ballo della ‘Ndrezzata. Infatti aggiunge: “il che è comune agli altri luoghi”. Con questo vuole dire che non solo nel Casale di Barano si effettuavano movimenti a ritmo di danza, ma non solo in quel luogo. Il che avvalora la tesi della derivazione da un’abitudine non prettamente buonopanese. Concludo che approfondirò lo studio dei balli cinquecenteschi per far luce sull’origine di questo cambiamento.

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Ivano Di Meglio

Ivano Di Meglio

Eterno studente, scavo nei meandri del passato per trovare l'identità collettiva che porti al traguardo della consapevolezza. Mi occupo di cognomazione, Medioevo e usi locali. Cerco instancabilmente atti, prove e quant'altro mi consenta di ricostruire spaccati di vita lontana e vicina.