Madonna con Bambino tra San Francesco d’Assisi e Sant’Antonio da Padova
Dipinto, 1600 – 1610. Altezza 180 cm, larghezza 120 cm.
Opera di un ignoto pittore di ambito provinciale che riprende formulazioni tardo manierista. È contenuto all’interno dell’Arciconfraternita di Santa Maria di Costantinopoli in Testaccio.
In basso da sinistra San Francesco e Sant’Antonio da Padova, entrambi inginocchiati; in alto la Vergine seduta su nubi con il Bambino in braccio, è incoronata da due angeli; in basso, sullo sfondo due angeli versano la manna su una città. Cos’è la manna? La manna è un cibo antico biblico e, secondo il XVI libro dell’Esodo, il suo nome deriva da “Mân Hu” che significa “cos’è?”. Questa espressione rappresenta lo stupore per gli ebrei nel veder piovere un cibo sconosciuto dal cielo, mandato dal loro Dio nel deserto per cibarli. Sant’Antonio di Padova (in realtà di origine portoghese, mentre Padova ne custodisce le ossa) è raffigurato con il simbolo della santità e purezza: il giglio. Nella mano destra, il Vangelo. Quanto al giglio ci sono delle considerazioni da fare. Dal Sermone di Sant’Antonio (Domenica XV dopo Pentecoste, 12) si legge: “Considera che nel giglio ci sono tre proprietà: il medicamento, il candore e il profumo. Il medicamento si trova nella sua radice, il candore e il profumo nel fiore. E queste tre proprietà raffigurano i penitenti, poveri nello spirito, che crocifiggono le membra con i loro vizi e le loro concupiscenze, che custodiscono l’umiltà nel cuore per soffocare l’impudenza della superbia, il candore della castità nel corpo e il profumo della buona fama”. Ecco spiegato il giglio, simbolo della purezza, immancabile in ogni raffigurazione del santo. È tenuto sempre in mano da Antonio. E lui, portatore di questo simbolo, lo incarna nella sua vita evangelica. Sulla sinistra, San Francesco d’Assisi, patrono d’Italia. Ben visibile la croce di legno e, soprattutto, le stimmate. Proprio per queste, dopo essersi occupato per anni della croce e avere sviluppato una sensibilità sempre più acuta verso quel dolore fino al punto da non saper trattenere le lacrime e piangere con singhiozzo convulso, in quel settembre si stava realizzando un avvenimento che mai si era verificato nella carne di un uomo: l’impressione delle Stimmate di Cristo crocifisso, “l’ultimo sigillo”, le definì Dante. Dell’apparizione del Serafino ci offre un’ampia descrizione il Celano: “Allorché dimorava nel romitorio che dal nome del luogo è chiamato Verna, due anni prima della sua morte, ebbe da Dio una visione”.
Fonti: beniculturali
sanfrancesco.it
Francescopatronoditalia.it
assisiofm.it