L’euroegoismo
Un mondo difficile
L’Europa, questa “europa” (il minuscolo è voluto) è sotto attacco. Sarà un bene? E non c’è solo la Cina da cui tutto è partito. Alla sua propaganda attiva e programmata mesi prima dell’arrivo di quest’onda enorme di morti e contagi, fanno da gran cassa gli annunci di salvataggio alla popolazione italica, magari per infliggerci bastonate in ambito geopolitico e approfittare del momento per lavarsi la coscienza agli occhi del mondo. Colpi ben assestati giungono anche dall’interno dell’Europa che li incassa in silenzio, creando sul suo volto la stessa reazione del pugile che colto di sorpresa è costretto all’angolo, intorpidito dall’assalto dell’avversario nel tentativo di parare, invano, il comportamento aggressivo che potrebbe determinarne il K.O. dopo il suono della campanella.
La differenza oggi, forse, è che il gong sta suonando prima della caduta e annuncia in forma anticipata la fine dell’incontro. Ci avvisa che qualcosa non funziona e se vogliamo davvero arrivare a una forma di democrazia liberale compiuta, dobbiamo riprogrammare il percorso comune. Questa “europa” deve incamminarsi su una strada di Valori condivisi, non quelli economici e di (buon) mercato a senso unico. La campanella lancia l’allarme e un messaggio: da quell’angolo, potremmo non uscire in piedi e cadere al tappeto potrebbe essere l’unica scelta possibile se non si agisce in maniera determinata e immediata.
Romano Prodi, ex presidente della Commissione, in queste ultime ore, dopo il Consiglio europeo dei giorni scorsi che non ha sortito alcun effetto, ha mosso un’accusa a questa “europa”, oltre che un auspicio: «Rinviare a 15 giorni è un prendersi in giro a vicenda. Tra 15 giorni al massimo avremo un piccolo compromesso al ribasso. E’ sempre un vivacchiare. Se i governanti europei rispondono solo agli istinti di breve periodo del proprio elettorato, il patto che ha finora tenuto insieme i diversi Paesi europei non può che dissolversi. Il che non mette a rischio solo il nostro futuro ma anche quello degli Stati che ritengono che il loro destino sia migliore se distaccato da quello degli altri». L’Europa, quella che ci piacerebbe, pare esser parte di un mondo lontano che ha sede in un ricordo altrettanto distante. Quasi utopia. A impedirne la realizzazione, c’è stato, e c’è, lo zampino dei Paesi fondatori. Come la Francia che bloccò, a suo tempo, la Costituzione europea. O come l’Olanda insieme alla Germania. E la Merkel con il suo discorso ci conferma di essersi separata dalla realtà, quella di ieri, sostituendovi la miopia e l’egoismo di oggi. Le parole del Cancelliere tedesco, lasciano trapelare anche un problema di memoria volatile e precaria riportandoci al durissimo atto di accusa dell’ex ministro degli Esteri tedesco Joschka Fischer.
Nel suo libro di qualche anno fa, si chiedeva come mai la Germania avesse dimenticato la Conferenza di Londra del 1953, quando l’Europa cancellò alla Germania buona parte dei debiti di guerra. «Senza quel regalo – scrisse l’ex ministro tedesco – non avremmo riconquistato la credibilità e l’accesso ai mercati. La Germania non si sarebbe ripresa e non avremmo avuto il miracolo economico». Il debito di guerra tedesco dopo il 1945 toccò quota 23 miliardi di dollari (di allora). Una cifra enorme, pari al 100% del Pil tedesco e non avrebbe potuto permettersi di saldare quei debiti accumulati in due guerre che lei stessa aveva causato. I sovietici pretesero e ottennero il pagamento dei danni di guerra, senza sconti. Gli altri Paesi, invece, non solo europei, decisero di rinunciare a gran parte della somma che Berlino avrebbe dovuto restituire. Ventuno paesi, tra cui Italia e Grecia, riuniti a Londra, il 24 agosto del 1953, decisero di dimezzare il debito tedesco di almeno il 50%. Da 23 si passò alla riconsegna di “soli” 11,5 miliardi di dollari, somma dilazionata in 30 anni e in questo modo, la Germania poté evitare di andare in default.
Il saldo sarebbe stato rimborsato dopo l’eventuale riunificazione. Nel 1990 il cancelliere di allora, Helmut Kohl, non volle rinegoziare l’accordo perché avrebbe procurato un terzo default al suo paese. Italia e Grecia, ancora una volta, si accordarono per non esigere nulla salvando la Germania che, nel 2010, con il pagamento dell’ultimo importo pari a 69,9 milioni di euro, finì di restituire i debiti imposti dal trattato del 1953. Senza il quale, va ricordato, il paese ormai unito, avrebbe dovuto rimborsare debiti per oltre 50 anni. Oggi sembra che quel “ricordo” sia sparito, dimenticato, e con lui l’ipotesi d’integrazione europea. Al suo posto rigidi comportamenti nazionalistici e inflessibili ci mostrano una oggettività diversa da quella dimensione (veramente) europea.
Intanto c’è chi pensa di usare la Banca europea per gli investimenti (Bei), come una specie di strumento di debito comune, a condizionalità più morbide rispetto al famigerato fondo salva Stati, il MES. Che cosa fa la Bei? Secondo l’articolo 309, ex art. 267 del TCE: «La banca assume prestiti sui mercati dei capitali ed eroga prestiti a condizioni favorevoli per progetti che sostengono obiettivi dell’UE. Circa il 90% dei prestiti è distribuito all’interno dell’UE. Il denaro non proviene dal bilancio dell’UE». Gli azionisti della Bei sono i 27 Stati membri dell’Unione europea. Insieme all’emissione di obbligazioni, la Banca riceve soldi da chi vi partecipa.
Al febbraio 2020, Italia, Germania e Francia, possiedono il 19% con un investimento, per ognuno, pari a 46.722,369 €. Dopo di loro, gli altri paesi. C’è chi sta prospettando la possibilità da parte della Bei di raccogliere qualche miliardo da prestare ai Paesi in difficoltà, emettere obbligazioni, o corona – bond, ed erogare prestiti. Come si dice però, c’è un ”ma”. Il capitale dei soci è a garanzia e ciò che si raccoglie è destinato a progetti specifici. La Banca sembrerebbe non avere però nuove possibilità di erogazioni – che ricadrebbero su tutti i suoi azionisti – e per l’Italia, in forza di quel 19%, si prospetterebbe l’ipotesi di (ri)contribuire con un successivo versamento.
Nel frattempo la presidente della Commissione europea, la tedesca Ursula Gertrud von der Leyen, ha tagliato corto bloccando l’ipotesi di una solidarietà studiata nella direzione del salvataggio della moneta unica e dell’Italia e in senso più ampio, ha arrestato la capacità di opporsi agli effetti del coronavirus, la sfida del secolo, e contribuire così all’abbattimento dell’euroegoismo cui manca tutto, anche il ricordo.