Il DDL ZAN

Il DDL ZAN

In questi giorni il disegno di legge Zanantiomofobia ha sollevato numerose polemiche.

Una premessa è necessaria per sgombrare il campo da qualsiasi equivoco. Il problema delle discriminazioni basate sulla razza, sul sesso o quant’altro ha assunto senz’altro dimensioni preoccupanti per cui è non solo giusto ma necessario condannare senza se e senza ma qualsiasi tipo di condotta violenta o discriminatoria. Qui, è bene ribadirlo, nessuno è razzista.

Ciò detto perché il ddlZan non ci convince?

Innanzitutto perché l’art. 21 della Costituzione già garantisce la libertà di espressione e di opinione per cui non si comprende il bisogno di ripetere tutto ciò nell’articolo 4 del disegno di legge.

Sorge perciò il dubbio che il vero intento del legislatore sia racchiuso nella seconda parte dell’art. 4 dove si afferma “…purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”.

Con queste parole si posa un macigno sulla libertà di espressione volendo stabilire per legge ciò che è legittimo e ciò che non lo è, lasciando nuda di fronte alla magistratura qualsiasi persona che esprima un pensiero non allineato.

Del resto, come richiamava Roberto Formigoni in un suo recente articolo, è già accaduto: nel 2014 un cardinale spagnolo è stato indagato per omofobia per il solo fatto di aver dichiarato che la sessualità è finalizzata innanzitutto a procreare e che pertanto questo fine non trova spazio in una relazione omossessuale.

Altro aspetto che non convince è la definizione di “identità di genere”, un concetto che resta fumoso facendo riferimento alla percezione che un soggetto ha di sé e che per ciò stesso può cambiare di continuo. Al contrario, profondamente ancorato alla realtà ci sembra il concetto di “identità sessuale” che fa riferimento alle differenze naturali per cui un uomo è un uomo e una donna una donna.

Anche su questo aspetto, al di là delle chiacchiere, la realtà dei fatti mostra la debolezza di chi pensa di disciplinare per legge la materia etica: negli Stati Uniti le atlete donne si sono ribellate perché risultano puntualmente perdenti nelle gare cui partecipano atleti maschi che si “percepiscono” donne.

Ma l’aspetto che ci appare più grave è quello lesivo del diritto dei bambini in tenera età ad un’educazione basata su un modello di famiglia naturale fondata sull’unione di un uomo e di una donna, di un papà e di una mamma. Non si avverte l’urgenza di ingenerare confusione nella mente di bambini in formazione restando fondamentale educare al rispetto della persona a prescindere dalle caratteristiche sessuali.

Senza parlare poi dell’introduzione della giornata nazionale del contrasto all’omofobia, la transfobia e la bifobia con la previsione di lezioni obbligatorie (perfino l’ora di religione è facoltativa!).

Tutto ciò sembra rivelare il solito vizietto di una certa parte politica: in nome del concetto di egemonia culturale di gramsciana memoria si vuole, una volta di più, introdurre con l’inganno e con la forza l’ideologia gender e quella lgbt imponendola a coloro che sul tema della famiglia e delle unioni rivendicano la libertà di pensarla diversamente.

Pur nella sua complessità, la questione ci appare più semplice: lasciamo alle agenzie educative, in primis alla famiglia, la libertà di educare e di vigilare sul rispetto delle diversità. Ogni tentativo di impedire con la coercizione la libera espressione del pensiero ci riporta a riscrivere le tristi pagine di uno Stato etico che non ha fiducia nella libertà, che ha paura della ricchezza del confronto delle idee e che riconosce un unico strumento di convinzione delle coscienze: la coercizione della psicopolizia. 

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Redazione

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