La lettera di un collega della poliziotta violentata al Porto di Napoli
Cara collega cara sorella di giubba.
Avevi terminato il tuo turno di servizio, doveva essere un 19-24 come tutti gli altri. Hai tolto la divisa, hai chiuso il tuo armadietto e ti sei diretta nel parcheggio riservato alle forze dell’ordine. Pensavi sicuramente alla tua casa, al tuo letto, ai tuoi cari, al tuo compagno, a tuo marito. E invece ad aspettarti c’era lui, la bestia.
Prima ti ha colpito con un sasso ripetutamente alla testa ma tu ti sei difesa, poi ti ha preso a morsi, sulla faccia sulle mani sul tuo corpo e anche lì come una leonessa ti sei difesa. Ti sei difesa fino a farti saltare le unghie, ma non quelle finte ahimè le tue unghie.
Ti ha preso per il collo e con la forza di una uomo corpulento di 1,82 cm ha cercato di strangolarti e anche qui ti sei difesa ma esausta sei svenuta. E li il mostro, l’abominevole è riuscito ad abusare di te, a violare il tuo essere donna. Dopo aver fatto i suoi porci comodi è scappato.
Tu poco dopo hai ripreso a lottare, hai chiesto aiuto ad un camionista che passava di lì ed hai chiamato i tuoi colleghi i tuoi fratelli a cui hai descritto alla perfezione il tuo aggressore. Difatti poco dopo il mostro è stato fermato ed arrestato dai tuoi stessi colleghi.
Adesso sei in una stanza di ospedale e stai continuando a lottare come una tigre e dalla tua parte hai tutta la vicinanza dei tuoi fratelli di giubba di tutti indistintamente da Tarvisio a Porto Empedocle. Siamo tutti li, li con te e con te rimarremo da adesso e per sempre.
Lui il mostro è già in carcere ma sappiamo già che potrebbe non restarci per molto anzi magari una perizia lo scagiona come ha scagionato l’assassino dei nostri fratelli di Trieste i nostri figli delle stelle. Ma noi dobbiamo credere che stavolta può esser diverso. Anche se il senso di impunità tra i balordi ormai regna sovrano e chi lavora per strada lo sa bene. Ormai non c’è più tanta differenza tra zone di periferia e zone centrali, tra parchi e scuole.
Cara collega il tuo dolore è il nostro, come è nostro il dolore per ogni donna abusata e maltrattata e se questo può farti sentire almeno un tantino meglio sei nei pensieri di tutti noi che vestiamo una divisa.
Un grande in bocca al lupo e ti aspettiamo.
La sorella di giubba.
Vincenzo D’Acciò
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