FOSSE DELLA NEVE E PROVERBI FONTANESI
Ho già parlato della figura dei nevaioli dell’Epomeo. Trovate il link qui: https://www.facebook.com/share/p/1AAaVc1puL/ Tra i vari canti, e i vari modi di dire, mi ha colpito uno pronunciato da un simbolo fontanese che è stato Mercede Mattera. Esso recita: “Jamm’ cumpegn’ ca lu viento è sicc’ e la neve fa vattere ‘e garagaglie. Pane, sarache, doppe s’appaglia. Jamme cumpegn’ cheré ‘stu tic tic, facimme ampress’ ca lu vient’ n’ piglia“. Traduco in italiano. “Andiamo compagni, il vento è secco, e la neve fa digrignare i denti e le membra. Pane, sarde, dopo si riveste di paglia. Andiamo compagni, cos’è questo movimento, facciamo presto che il vento ci trasporta“. Era infatti compito del banditore, chiamare a raccolta gli operai per il trasporto e la pressatura della neve. In tempi non molto remoti, si utilizzava la tofa (grande conchiglia) per richiamare sul posto di lavoro i lavoratori. I pasti erano quelli della tradizione contadina: zuppa di fave, fagioli, pane con le uova, pane, cipolla e pomodoro, e altro. Ad accompagnare, il bicchiere di vino. La neve ammassata era conservata nelle fosse della neve, per poi essere rivenduta a Ischia. Da qui il ghiaccio veniva utilizzato o per la conservazione di cibo o per la realizzazione delle granite o grattachecche dell’epoca: “ratta ratta”.