A 50 ANNI DALLA MORTE DI PASOLINI
Considerava alla pari mutazione antropologica e mutazione ambientale
L’uscita di due volumi “Rivoluzione Pasolini”, a cura del quotidiano La Repubblica, scritti da molti importanti autori e coordinati da Ottavio Ragone, ci offre l’occasione per mettere a punto un aspetto, fin qui trascurato, della vita politica letteraria di Pier Paolo Pasolini. Tutti hanno, a giusta ragione, sottolineato nel tempo la previsione che il grande intellettuale ebbe della “mutazione antropologica” in atto del popolo italiano (lo scrisse in particolare negli Scritti Corsari e nelle Lettere Luterane). Tale mutazione era l’effetto di un consumismo sfrenato dettato dal capitalismo e dalla massificazione dei comportamenti e dalla mercificazione di ogni aspetto della vita quotidiana. Scrive giustamente Giulio Ferroni, critico letterario, nel primo volume di Rivoluzione Pasolini. “E’ stato trascurato il fatto che i dati politici, sociali, morali, sessuali, educativi, estetici di quella mutazione antropologica era strettamente legata a un quadro ambientale, all’avvertimento che il degradarsi della vita sociale, tra edonismo e consumismo di massa, s’intrecciava strettamente con l’orizzonte ecologico, riguardava direttamente lo spazio di vita, l’equilibrio e la tenuta dei luoghi, la violenza continua fatta alla loro storia, alla loro biologia, al lascito della natura e delle tracce di bellezza che l’umanità vi aveva trovato in luce”.

Resta memorabile la citazione emblematica che Pasolini fece in un articolo su Il Corriere della Sera del 1° febbraio 1975: la scomparsa delle lucciole, che stava a significare la mutazione naturale in atto (per mano dell’uomo). Come resta memorabile il reportage “La lunga strada di sabbia”, viaggio lungo le località costiere dello stivale e con ampi riferimenti anche all’isola d’Ischia. Capri la considerava già inquinata dal germe del turismo invasivo e del consumismo sfrenato. Dell’isola d’Ischia distingueva ancora una parte pressoché incontaminata e un’altra (Ischia Porto e la fascia costiera) già compromessa. Dunque, dovendo ricordare, in modo degno, Pier Paolo Pasolini, non possiamo fare a meno di ricordare che quando distingueva “sviluppo” da “progresso” intendeva proprio sottolineare che il solo sviluppo e cioè una crescita quantitativa senza qualità, al solo scopo di impinguare il sistema neocapitalistico, non produce alcun effetto benefico sull’umanità.
Lo sviluppo deve essere in funzione di un vero progresso civile che esalti il valore, l’indipendenza, l’autenticità, la libertà e l’intelligenza di ogni singolo uomo. E così potremo segnare anche i giusti confini tra ecologisti veri ed ecologisti paralizzati da schemi ideologici. Non esiste, non può esistere un’ecologia che presti attenzione alla natura ignorando l’uomo e la connessione inevitabile tra uomo e natura. Purtroppo, per molto tempo, Pasolini è stato frainteso perfino da illustri scrittori, come è il caso di Italo Calvino, che scambiò la critica visionaria di Pasolini per mero passatismo. E a Calvino Pasolini dovette far notare che il suo pessimismo su come si stavano mettendo le cose non era affatto rimpianto dell’italietta fascista, ma lucida analisi del presente per tentare un futuro diverso.

