I veri padri della patria. Salvatore De Crescenzo detto “Tore ‘e Crescienzo” e un popolo distrutto
La camorra fu sfruttata da Garibaldi con l’aiuto dell’ultimo Ministro dell’Interno Liborio Romano, il quale affidò ai camorristi la patente di “tutori dell’ordine pubblico”. Costoro approfittarono della situazione senza alcuno scrupolo e, di fatto, furono i collaborazionisti più determinanti degli invasori. La bella società riformata, com’era chiamata all’epoca la camorra, fece, così, un deciso salto di qualità, mentre durante il governo duo siciliano era stata tenuta ai margini del vivere civile.
Gli appartenenti alla camorra, però, avevano cominciato ad accostarsi alla politica già dal 1840, quando iniziò la serie di congiure dei liberali contro il Re Ferdinando II. Nel 1844, dopo il fallimento dell’impresa dei fratelli Bandiera, nelle carceri, i camorristi rispettavano moltissimo i detenuti politici, onorati di poter dividere le celle con presunti rivoluzionari e si atteggiavano a loro protettori. Nel 1847, alcuni congiurati liberali fra cui Carlo Poerio, Michele Persico, Mariano d’Ayala, Domenico Mauro e Francesco Trinchera, nel carcere di Castel Capuano furono accolti con riverenza dal “capintrito” – che definiva cioè un sistema di referenti – della camorra Giuseppe D’Alessandro. Addirittura il D’Alessandro offrì un coltello a testa a Poerio e Persico dicendo loro: “Eccellenze vi autorizziamo a portare queste armi”. Nel carcere di Santa Maria Apparente, Salvatore De Crescenzo, detto “Tore ‘e Crescienzo”, da poco eletto capintesta, fece un favore a Luigi Settembrini mettendolo in contatto scritto con la moglie di cui non aveva notizie da mesi, dal momento dell’arresto. Questi e altri fecero sì che iniziasse una collaborazione tra i cospiratori liberali e la camorra.
L’avanzata e i successi dei garibaldeschi in Sicilia e le pressioni di Francia e Inghilterra indussero il Re delle Due Sicilie, Francesco II, il 25 giugno 1860, a ripristinare la Costituzione del 1848, e, contemporaneamente, a promulgare un’amnistia che portava in libertà, con i sovversivi politici, una moltitudine enorme di camorristi. Due giorni dopo, Francesco II formò un nuovo governo e a Presidente del Consiglio mise il principe di Fuscaldo Antonio Spinelli e, dal 14 luglio, Ministro di polizia l’avv. Liborio Romano, uno strano e ambiguo tipo di liberale, con precedenti sovversivi. Don Liborio, originario di Patù, nel Salento, la sera stessa in cui ebbe l’incarico, chiamò in segreto il noto “capintesta” Salvatore De Crescenzo, chiedendogli di convocare tutti i “capintrito” della città tra i quali Ferdinando Mele e Luigi Cozzolino, detto “o’ perzianaro”, per concertare con essi un piano di azione per il prossimo arrivo del Garibaldi. La camorra, riunita in assemblea, deliberò che il grado più alto, cioè di “Questore”, doveva spettare a “Tore ‘e Crescienzo”.
Furono nominati “Commissari”, fra gli altri, i camorristi Cozzolongo, cameriere di una locanda, il garzone di un parrucchiere di via Chiaia, un barbiere del “Vasto” e un ex spazzino; al taverniere Callicchio toccò la carica di “Ispettore”. Il 6 settembre 1860 il Re Francesco II lasciò Napoli e, prima di partire, rivolgendosi al suo Ministro di Polizia, disse: “Don Libò guardatev’ ‘o cuollo”, ma Liborio Romano, che si apprestava a spedire il telegramma di benvenuto a Garibaldi, rispose “Maestà la mia testa rimarrà a lungo sul mio collo”. All’arrivo del Garibaldi l’ordine pubblico fu diretto ed esercitato a Napoli esclusivamente da camorristi. Essi erano contraddistinti da una coccarda tricolore sul cappello. Nei primi giorni le novelle guardie esordirono con il pugnalare il loro collega Peppe Aversano, quindi aggredirono il giovane Ispettore della Polizia Perrelli che fu ucciso. Un altro ex Commissario, Cioffi, fu picchiato a sangue.
I camorristi–poliziotti incominciarono a dare l’assalto a tutti i commissariati napoletani, distruggendo gli archivi per poi prendere possesso dei locali. Il Commissariato del Rione Stella fu l’ultimo a capitolare dopo una nutritissima sparatoria. Dopo ogni assalto i camorristi si abbandonavano a pubbliche questue. Chi si rifiutava di pagare era accusato di essere nemico della “patria italiana” e riceveva bastonate. Garibaldi entrò in Napoli intorno alle ore 13 del 7 settembre e furono le guardie-camorriste a badare all’ordine pubblico. In testa al corteo che seguiva la carrozza del dittatore, si erano messi “Tore e’ Criscenzio”, con i “Commissari” Jossa, Capuano e Mele. Subito dopo c’era la tavernaia Marianna De Crescenzo, detta la “Sangiovannara” ingioiellata e agghindata come un albero di Natale, accompagnata dalle prostitute “Rosa ‘a pazza”, “Luisella ‘a lum a ‘ggiorno” e “Nannarella ‘e quatt’rane”. Garibaldi nominò un Governo provvisorio con a capo Liborio Romano. Il 7 novembre 1860 entrava in Napoli il Re savoiardo, che nominò Luigi Carlo Farini a Luogotenente Generale dei territori napoletani. I camorristi continuarono a fare i tutori dell’ordine e, nello stesso tempo, a delinquere.
Il “capintesta” De Crescendo costituì una squadra per tutte le tangenti sul contrabbando di mare, mentre il “capintrito” Pasquale Merolle si riservò le tangenti al contrabbando di terra. Ogni volta che arrivavano casse di merci, esse se ne appropriavano dicendo che era “robba ‘e Zi’ Peppe” (cioè, roba di Garibaldi). Altri varchi cittadini erano piantonati dai gregari del capintrito Antonio Lubrano, detto “Totonno ‘a porta ‘e massa”. Il 7 gennaio 1861, fu nominato luogotenente Eugenio di Savoia Carignano, affiancato dal diplomatico Costantino Nigro. Liborio Romano ebbe il dicastero dell’agricoltura, mentre Ministro della Polizia fu nominato il liberale Silvio Spaventa. Uno dei primi atti dello Spaventa fu lo scioglimento del corpo delle Guardie cittadine che rimpiazzò con quello delle Guardie di Pubblica Sicurezza licenziando la quasi totalità dei camorristi. La camorra non gradì affatto questa decisione e, appoggiata dalla Guardia Nazionale e da reduci garibaldeschi, il 26 aprile 1861, organizzò una grande manifestazione di protesta in Napoli, in cui si chiedeva la testa dello Spaventa, provocando tumulti gravissimi. Il 18 luglio 1861 lo Spaventa, atterrito, si dimise. Le notizie incredibili per i fatti che si verificavano in quel tempo a Napoli suscitarono molto scalpore e scandalo in tutta Europa. Il nuovo Questore di Napoli, il liberale Carlo Aveta, approfittando di quello stato d’assedio che era stato proclamato nelle province meridionali dal generale Alfonso Lamarmora, il 16 ottobre 1861, decise di condurre un’azione massiccia contro la camorra e chiese aiuto a un gruppo ex “commissario” della Guardia Cittadina: Nicola Jossa.
Costui fu nominato delegato di P.S. e, poiché era a conoscenza dei nascondigli dei camorristi, in breve fece eseguire decine di arresti. Il capolavoro dello Jossa fu l’arresto di “Tore ‘e Criscenzio” nel luglio del 1862. Dopo averlo sfidato a una “zumpata” (duello col coltello) al campo di Marte. Lo Jossa ferì De Crescenzo e lo portò in galera. Il Questore Aveta, però, irriconoscente, dopo qualche tempo fece arrestare anche Nicola Jossa, che morirà poi di tubercolosi in carcere. Il famigerato capintesta Salvatore De Crescenzo, poi, per tutte le nefandezze compiute in Napoli, fu segretario prima di Ponza e poi alle Tramiti. Dopo il 1870 fu liberato e, in segno di rispetto, i nuovi capintesta che gli successero, si recavano personalmente ogni settimana a casa sua, gli baciavano la mano e gli consegnavano parte delle loro tangenti. L’estromissione della camorra dalle istituzioni del nuovo regno italiano però non la escluse affatto da altre innumerevoli leve di potere. Infatti, poiché erano in grado di manovrare le masse elettorali, gli aspiranti parlamentari iniziarono a ricorrere al loro appoggio. Questo maligno cancro sociale generato dai savoiardi e dai garibaldeschi, ha ancora oggi salde radici a Napoli.
Salvatore De Crescenzo, “Tore ‘e Crescienzo”, è il primo grande camorrista che si conosca. Nella congiuntura dell’Unità fu invitato dal prefetto Liborio Romano a entrare, con tutti i suoi affiliati, nella guardia cittadina. Evento che lo incoronò come il più potente dei camorristi.