Francesco Cellamare: “I talk show in tv rimbombano più forte dei tuoni”

Francesco Cellamare: “I talk show in tv rimbombano più forte dei tuoni”

Ho atteso qualche giorno e contato ben più che fino a 10 per far sbollire la rabbia ma le parole affilate udite nei vari talk show in tv, mi rimbombano più forte dei tuoni di una tempesta nel cervello e squarciano il mio cuore come quelli dei miei fratelli e le mie sorelle ischitane già demoliti nell’anima più di qualunque demolizione tanto auspicata e invocata da siffatti Soloni dell’informazione, della politica e delle professioni, da esibizionisti sempre alla ricerca di palcoscenici per la loro mezz’ora di gloria.

Non abbiamo più lacrime a differenza di costoro, che lacrime forse non ne hanno mai avute. Chi punta il dito contro il “luogo comune” dell’abisivismo, senza la minima cognizione di causa e senza neppure essersi prima informato in ordine alla possibile legittimità urbanistica degli immobili travolti dalla frana in “zona bianca”, chi, senza provare la minima vergogna, chiama in causa le stesse vittime, colpevoli di aver addirittura causato il cataclisma con le loro case, come se le case e la loro distruzione avessero causato l’alluvione e la frana e non il contrario.

Ma questo non ci dovrebbe più meravigliare dopo quanto abbiamo dovuto digerire all’indomani del terremoto del 21 agosto 2017. È sempre il solito schifo, eppure non riusciamo a farcelo scivolare addosso questo fango, questa cloaca vomitata, ogni volta copiosa, da chi non rispetta neppure i morti e il momento di grave lutto cittadino. Per non parlare di chi dileggia la disgrazia con la sua satira stomachevole, mio Dio perdona loro perché non sanno quello che dicono!

A confronto l’Aretino Pietro impallidirebbe. Si è cercato invano di fermare lo sciacallaggio mediatico. C’è chi ha pregato questi professoroni di tacere almeno fino a quando durerà il lutto e la disperazione di chi ha perso familiari, amici, vicini di casa, concittadini. Di rispettare almeno con il silenzio il dolore straziante delle famiglie e di una intera comunità, le sofferenze di chi ha perso tutto, la ferita della montagna che è la ferita della nostra isola, cruenta e ancora sanguinante. Ebbene, costoro hanno detto che li si voleva imbavagliare, imporgli il silenzio stampa. Vergogna! Una cosa è l’informazione, altro sono i processi mediatici, la gogna e la demonizzazione di un popolo in nome della guerra senza quartiere all’abusivismo edilizio.

Ma questi grandi scienziati dell’informazione, della geologia, della tutela dell’ambiente e delle regole dell’ urbanistica, ce l’hanno una casa? Lo sanno quanti sacrifici ha dovuto mediamente affrontare ogni famiglia di quest’isola per costruirsi un’abitazione? Qualcuno di loro ha mai provato cosa significhi essere o divenire un senza tetto e perdere tutto nel giro di 5-6 secondi? Vergogna!

Se la prendono con coloro che sono morti sotto le macerie della propria casa, se la prendono con quelle case come se fossero state le case a far venire giù un intero versante del Monte Epomeo staccatosi dalla sua sommità sotto l’immane peso delle acque e scivolato a valle come burro fuso, sommergendo e trascinando qualsiasi cosa gli si parasse davanti lungo il suo percorso verso il mare.

Se davvero si vuole individuare tra gli uomini un colpevole dello sfacelo provocato da un evento tanto eccezionale quanto difficilmente prevedibile seppure oggi divenuto possibile in ragione dell’effetto serra e dei cambiamenti climatici, non v’è chi non veda come le reali responsabilità della tragedia vadano ascritte a chi avrebbe dovuto fare e non ha fatto.

A chi per oltre ottant’anni da quando furono realizzati i cosiddetti “gradoni” non ha manutenuto e non ha realizzato quelle opere di ingegneria idraulica di canalizzazione delle acque meteoriche, delle precipitazioni straordinarie come quella di sabato scorso, lasciando persino intatti sui rispettivi conti bancari gli stanziamenti di circa 12 milioni di euro che dopo l’alluvione del 2009 furono destinati a queste opere. Troppo facile prendersela con l’abusivismo edilizio, che a fronte di simili inadempienze è un comodo diversivo, ammesso e non concesso che nella zona bianca ove si trovavano quelle case le stesse fossero sprovviste di permesso di costruire. E poi se la prendono con i condoni.

Ci si è riempiti la bocca di 27.000 istanze di condono a fronte di 67.000 abitanti dell’isola verde, senza distinguere nemmeno le istanze relative a finestre, scalinate ed altre opere minori e pertinenziali, e non si è considerato, piuttosto, che per la mia gente, per noi isolani, l’unica chance di potersi conquistare quello che nel resto d’Italia è piuttosto un Diritto, in mancanza di piani regolatori, di una pianificazione urbanistica, è sempre stata quella di edificare senza autorizzazione sovente nottetempo. Proprio così… tu che forse saresti dell’idea di sorvolare con i mig russi l’Epomeo per ridurre in macerie l’isola d’Ischia sotto i bombardamenti, in modo da bypassare il limite dei fondi disponibili per le demolizioni, cerca piuttosto di farti l’esame di coscienza e di spiegare ai superstiti che i loro morti oggi, se i fondi stanziati per la messa in sicurezza di quei canali fossero stati utilizzati, sarebbero con noi a commentare una nottata di pioggia incessante e niente di più, e quei bambini, anime di Dio, sarebbero vivi, felici, a giocare con i loro compagni che oggi affranti spalano quel fango maledetto.

La verità fa male e si fa scaricabile spostando l’attenzione sull’abusivismo. E allora parliamone. Uno Stato che demolisce anziché edificare, è come un padre che condanna i propri figli ad andare a vivere sotto i ponti e non, come invece sostenuto da qualcuno di questi maestri dell’ audience, un padre capace di dire “no” e di togliere al proprio figlio un giocattolo pericoloso… i padri proteggono i loro figli e nessun padre sarebbe capace di privarli della casa.

Un padre quella casa la fortifica e la difende anche se il proprio figlio è stato costretto a realizzarla contro le regole. Un padre perdona, mentre lo Stato incassa e non condona. Questo figlio e la sua famiglia si è trovato ad essere l’anello debole di una catena, del cd. “sistema”, su un territorio dove norme tanto restrittive erano state concepite per vietare praticamente tutto.

Vogliamo parlare di abusivismo a Ischia. Parliamone. Ma con cognizione di causa! E soprattutto evitiamo di criminalizzare chi non aveva altra scelta! L’incremento demografico degli ultimi 40 anni ha avuto quale naturale conseguenza la proliferazione degli abusi, è vero e non lo neghiamo. Ma sempre e solo perché nessuna abitazione poteva essere in regola con la normativa vigente.

E allora si è ricorso ai condoni per illuderci che ci si potesse mettere in regola… ma quante delle pratiche di condono sono state esaminate? Quanti danari ha introitato lo Stato senza tuttavia rilasciare quei titoli in sanatoria che aveva promesso? I miei concittadini oggi si indebiterebbero fino al collo pur di finalmente sanare il proprio immobile, pur di non essere più additati ancora come abusivi dopo ogni catastrofe naturale nonostante i sacrifici ed i debiti contratti dai propri genitori per lasciare ai figli una casa condonata.

Dopo 40-50 anni stiamo ancora aspettando i condoni. E così non possiamo accedere a nessun fondo e tantomeno ai bonus per la ristrutturazione edilizia e l’efficientamento energetico e le nostre case cadono a pezzi. La soluzione c’è, è l’uovo di Colombo, ma chi fino ad oggi ha governato il Paese o non l’ha scorta o non l’ha voluta vedere. Occorre una norma semplicissima che anziché demolire e distruggere un patrimonio edilizio che è patrimonio delle famiglie ed in fin dei conti è anche patrimonio dello stesso Stato che lo assoggetta a tassazione e lo eredita in mancanza di eredi dei proprietari, una norma che anziché depauperare le famiglie e la società già tanto piegata dalla contingente crisi economica, anziché condonare senza in realtà condonare nulla, riqualifichi il patrimonio edilizio esistente regolarizzando quelle abitazioni per le quali siano presentati e realizzati progetti di consolidamento statico, di adeguamento antisismico e di abbellimento ed integrazione ambientale e paesaggistica. Ciò fotografando l’assetto attuale, monitorando costantemente il territorio e impedendo sul nascere nuove edificazioni.

Allo stesso tempo vanno create le condizioni di sicurezza mediante interventi seri di canalizzazione delle acque meteoriche e di pulizia e manutenzione degli alvei affinché tragedie del genere non abbiamo più a ripetersi. Alla forza della Natura in certi casi è impensabile opporsi ma si possono limitare i danni e magari preservare vite umane.

Nessuno ha la ricetta perfetta, chiaramente, ma sforzarsi di progettare e di intervenire sarebbe già un buon inizio e renderebbe giustizia a chi ha pagato con la vita l’incuria e l’abbandono del territorio e con l’onore l’infamia della gogna mediatica che lo ha sepolto con tutta la nostra Comunità isolana sotto un’altra pesante coltre di fango dalla quale tutti noi, in nome della dignità di Popolo della terra più bella del mondo, abbiamo l’obbligo morale di risorgere. Lo dobbiamo a noi stessi e prima ancora alla memoria di quelle vite spezzate.

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Redazione

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