IL MARE E L’ETICA A PROCIDA E A ISCHIA
Giunge a proposito Maretica, festival di sport e cultura di mare, che si svolge a Procida, dal 12 al 15 settembre, e che è stato creato da Alessandro Baricco (ricordate il suo libro «Oceano Mare»?) a cui auguriamo una totale ripresa dopo un secondo intervento al midollo. Perché giunge a proposito? Per due motivi: perché è un momento storico (soprattutto per le isole) in cui è d’obbligo riflettere se è ancora possibile un rapporto fecondo, non invasivo, dell’uomo col mare e perché il mese di settembre è probabilmente il mese più importante dell’anno, il mese della riflessione, del bilancio dopo la stagione estiva, per molti versi “stress test” per la vivibilità e tenuta delle località turistiche balneari.

Proprio in questi giorni ho letto delle belle riflessioni di Malcom Pagani, giornalista figlio della scrittrice Barbara Alberti, sul mese di settembre. Ne riporto qualche rigo: “A settembre scopriamo chi siamo. Settembre ci chiede di ricomporci, di rimetterci la maglia, di accettare che i tempi stiano per cambiare…Settembre e anche è una canzone di Venditti e un verso di Patrizia Cavalli «A me è maggio che mi rovina e anche settembre, queste due sentinelle d’estate; premessa e nostalgia».
E pochi giorni fa ho assistito alla magnifica rappresentazione teatrale, con la regia di Salvatore Ronga: “Il canto delle sirene” a Villa Arbusto. Ispirata al Cratere del Naufagio, uno dei pezzi pregiati del Museo di Pithecusa; l’opera teatrale raggiunge l’acme nel momento in cui un interprete dice: “Da pescatore sei diventato preda”.

Il mare è così, ti aiuta a vivere, ti consente di procacciarti (con sacrificio) il necessario, ma può anche sovvertire il tuo ruolo da protagonista a vittima. E, in fondo, il naufragio che cos’è se non l’epilogo di insuccessi nella vita? E il naufragio non riguarda solo i poveri, può riguardare anche i potenti e i ricchi, il cui superyacht, in pochi secondi, si ribalta e affonda sotto i colpi dell’imprevedibilità del cambiamento climatico e la contemporanea superficialità e imperizia umana.
Ma non è soltanto questione di naufragi, non è solo questo il lato brutto della medaglia. C’è anche un altro modo di violare il mare: sfidarlo e considerarlo oggetto di dominio. Insultare il mare con l’arroganza dell’uomo che pensa di poterlo solcare con potenza, ancorarvisi con noncuranza, imbrattarlo, gettarvi dentro i nostri rifiuti e costruire sulle coste, abusivamente, spolpando le aree demaniali.
Mi viene da sorridere quando vedo un crescente entusiasmo popolare che si scatena alla nascita di decine di tartarughine sulle spiagge isolane, contemporaneamente all’indifferenza verso tutte le ferite inferte quotidianamente alla nostra costa e al nostro mare. E non ci si accorge nemmeno che quelle nascite di esseri meravigliosi si spiegano soprattutto col cambiamento climatico, che se da un lato crea “bellezza animale” in ambiti inusuali, dall’altro sconvolge il resto dell’ambiente.

E dunque Procida fa bene, in questo contesto, a coniugare etica e mare. Per l’edizione di quest’anno sono in gara, come migliore narrazioni sul mare, Shona Heat, scenografa britannica, per la nave rappresentata in «Povere creature» di Yorgas Lanthimos (film fantascientifico e distopico con un caleidoscopio di invenzioni di macchine e nave avveniristica);

lo scrittore Fabio Genovesi per il romanzo «Oro puro», la scrittrice Evelina Santangelo per il romanzo «Sentimento del mare»; i saggisti Peregrine Horden e Nicholas Purcell con «Il mare che corrompe» (storia del Mediterraneo dall’età del ferro all’età moderna); la regista Jennifer Rainsford, autrice del lungometraggio sul maremoto del 2011 in Giappone e il regista Tommaso Santambrogio con «Gli oceani sono i veri continenti», ambientato a Cuba. E nelle scuole medie di Procida gli alunni verranno invitati a leggere «Il vecchio e il mare» di Ernest Hamingway, per stupirli con la tenacia del vecchio Santiago, che non si dà per vinto fin quando non riesce a pescare un grosso marlin. Brava Procida! E’ questa via che ci piace più che le invasioni da sbornia di Capitale italiana della Cultura.

La cultura non è mai massificazione, omologazione, ma esaltazione dei tratti e vocazioni distintivi del territorio. E non posso chiudere queste riflessioni senza un esplicito riferimento a Ischia. A differenza di Procida, che riflette, in maniera costruttiva, su come affrontare il futuro, Ischia attraversa una fase involutiva per la quale si attarda tra sterile nostalgia e speculazione distruttiva. La disputa è (quasi sempre) tra imprenditori-prenditori e ambientalisti onanisti o nostalgici dello status quo. E può sembrare un’eresia ma ritengo che dalle amministrazioni pubbliche locali (che non mi stancherò mai di criticare quando c’è da criticare) arrivano, sia pur timidi, segnali di pratiche virtuose e di inversione del modello vigente: in particolare Forio (con la valorizzazione della Colombaia), Lacco Ameno (puntando sulla cultura, su Villa Arbusto e su nuovi scavi archeologici); Barano (con una politica per i giovani rivolta all’intrattenimento en plein air); Casamicciola con una politica di ricostruzione sociale, associativa e di rammendo economico.

E’ il settore dell’imprenditoria più pigro e restio alle novità che mi sembra in ritardo, come è in ritardo un certo ambiente intellettuale, che si sta avvitando in un pessimismo cosmico che non produce nulla di nuovo e di buono. E’ il momento che Ischia ritrovi un equilibrio etico (partendo proprio dal mare e dalla difesa della costa e degli arenili) su basi ragionevoli, sensate e riformiste. Ogni estremismo (speculativo o parolaio o ingessatorio) continuerebbe a nuocere.