L’IMPORTANZA DELLE PAROLE NELL’AGONE POLITICO

L’IMPORTANZA DELLE PAROLE NELL’AGONE POLITICO

Colpisce la virulenza della polemica politica che si sviluppa quotidianamente tra parti avverse. Succede in Italia, in Europa e nel mondo, ma la cosa che meraviglia è che la verifichiamo perfino a Ischia, notoria per la sua pigrizia nel dibattito politico. E la vediamo ad opera di persone non acculturate (e fin qui è comprensibile) abituate a conquistarsi uno spazio di notorietà solo attraverso i social, in qualità di leoni da tastiera e odiatori seriali ma – quel che è peggio – lo vediamo anche in alcuni soggetti acculturati, esponenti provenienti dal mondo della scuola, delle professioni e dell’imprenditoria, settori nei quali magari eccellono. Ancora, vedo la gravità della situazione nell’incoscienza e nell’incomprensione della classe politico amministrativa che sottovaluta la portata di questo incancrenimento e recrudescenza della verbalità.

Come è possibile che, a cuor leggero, si possa accettare come normale dialettica un pensiero e un linguaggio che, tagliando di netto destra e sinistra, colloca tutto il bene da una parte e tutto il male dall’altra e le scaraventi addosso un cumulo di contumelie? Ora, solo una cecità critica impedisce di accorgersi che mentre a sinistra alcune frange più estremiste nel linguaggio, come potevano essere esponenti dei cinquestelle, di ispirazione grillina, col nuovo corso impresso da Conte, assume un atteggiamento più controllato, a destra nessuno condanna apertamente la verbalità volgare e virulenta di Vannacci e di Salvini, che le sparano grosse contro ogni logica democratica, europea ed occidentale?

Come è possibile che partiti come Forza Italia, che fu fondata da Berlusconi su basi liberali o anche come Fratelli d’Italia, il cui sentimento nazionalistico s’inquadra comunque in un orizzonte occidentale, possano tollerare chi considera l’Europa e l’Occidente “mondo al contrario” e inneggia a leader mondiali come Putin e Netanyau, giudicati criminali di guerra dalla Corte Penale Internazionale (di cui l’Italia fu paese fondatore)? Nel mese di ottobre, a Francoforte, si è tenuta la tradizionale Buchmesse, Fiera del Libro. E’ notorio che gli scrittori debbano essere apprezzati per la loro capacità di scrivere e narrare e non per le loro idee politiche. Tuttavia l’arma principale degli scrittori è la “parola” e, in tal senso, non possono essere indifferenti al linguaggio politico.

Un noto scrittore e viaggiatore italiano, Paolo Rumiz, proprio in occasione della Fiera del Libro, ha scritto in merito: “Mi accorgo che esiste già di fatto un’egemonia della destra sul piano verbale, un’egemonia tale che i partiti di governo sono costretti a inseguirla penosamente. Ciò significa che, per vincere, la destra non ha nemmeno bisogno di trionfare sul piano politico. Victor Klemperer, nella sua analisi della lingua del Terzo Reich, ci spiega che le tempeste della storia sono annunciate sempre da una mutazione delle parole”.

Paolo Rumiz ne ha anche per i partiti d centro e di sinistra, di cui dice: “Quasi ovunque i partiti cosiddetti moderati e di governo mancano di narrazione. La democrazia, per questo tipo di politici, è diventata il regno dello sbadiglio. Essa rischia di estinguersi da sé, per assenza di emotività e impulso narrativo”. Aggiunge che i partiti di centro danno l’impressione di stare al governo come se stessero in un’assemblea di condominio per una normalissima gestione quotidiana condominiale. Quanto alla sinistra, la sente brava a de-costruire e analizzare, ma incapace di indicare una strada maestra che colga il “sentiment” popolare europeo, compresa la paura per l’immigrazione e la rabbia delle periferie dimenticate.

Anche Luigi Manconi, sociologo, politico, critico musicale, che è ormai diventato cieco, ha sottolineato l’importanza del “linguaggio inquinato” e ha scritto: “Che dire di una profonda e irriducibile voglia di esprimere disprezzo? Dell’ossessività con cui il «politically correct» viene evocato non tanto dai suoi adepti ma dai suoi più fieri nemici? Il ritorno a un linguaggio che, pretendendo di essere, autentico e popolare, definisce «cani e porci» (Matteo Salvini) l’immigrato, è una disgrazia sociale e morale, che finisce per inquinare anche la stessa destra. In questo scenario nazionale e internazionale si sentono tranquilli i Sindaci dell’isola d’Ischia che, per meri fini elettorali, imbarcano nelle loro liste e, a volte, in ruoli istituzionali di peso, soggetti di qualunque caratura etico politica, non sempre in grado di mantenere il linguaggio in termini civili e democratici. Ma davvero il civismo significa ignorare ogni minima regola di buon senso, di misura, di linguaggio? Ma davvero non c’è più distinzione tra moderazione ed estremismo, tra tolleranza e rispetto dell’avversario e disprezzo e ingiuria di chi è schierato su un altra sponda? Ai lettori la “parola”, se questa ha ancora, come credo e spero, un senso anche nell’attività politica.

132 Visualizzazioni
Franco Borgogna

Franco Borgogna

Giornalista "glocal" e' la mia ambizione, un indagatore della società locale, consapevole che Ischia e' parte di un mondo dai confini vasti e che ciò che succede nel mondo globale si riverbera sull'isola così come le sorti del patrimonio naturale e culturale di Ischia riguardano il mondo intero.