L’EGEMONIA CULTURALE E LE BANCHE
Come si sa, il governo a guida Meloni insiste molto sul concetto di nuova “egemonia culturale”. Per consolidare la destra al potere, si considera essenziale assicurare un cambio reale e duraturo di paradigma, dentro i bastioni della formazione culturale. Tutti, o quasi, sanno che il primo a teorizzare l’egemonia culturale fu Antonio Gramsci, nei Quaderni dal carcere. Volendo semplificare al massimo il concetto complesso di egemonia, possiamo affermare che essa è il dominio di intellettuali organici sul popolo-nazione, consenziente e persuaso.

Come si ottiene tale dominio? Occupando tutte le tribune culturali (materiali e immateriali) in grado di influenzare e convincere il popolo. Paradossalmente prevale in Gramsci la supremazia della sovrastruttura, al contrario di Marx, per il quale la struttura socio economica conta più delle sovrastrutture culturali. In altre parole, gruppi di pensiero dominante devono, senza imposizioni, essere capaci di introiettare nel senso comune i valori da essi espressi.

E’ ovvio che Università, Stampa, Sindacati, Associazioni, sono in prima fila per questa opera di convincimento culturale. L’obiettivo è di occupare le casematte dello Stato ovvero quei presidii, quegli apparati della società civile in grado di trasmettere i valori che dovranno dominare. L’attuale destra italiana al governo, che evidentemente mutua da Gramsci questo concetto di egemonia culturale, vuole ribaltare l’egemonia della sinistra con un’egemonia di destra. Naturalmente Gramsci aveva una visione un po’ più nobile della semplice occupazione di poltrone nei gangli vitali della società: imprese di Stato, Banche, Università, giornali, televisioni di Stato e private. Da ultimo, dopo i vari asservimenti nel mondo della comunicazione, negli Enti culturali, nei grandi Musei, Teatri, Società di trasporto pubblico, stiamo assistendo all’assalto alle Banche.

E qui merita un approfondimento, perché occupare le Banche non equivale soltanto ad occupare un’istituzione culturale ma è, nel contempo, un modo di condizionare la struttura economica del Paese. Quindi è un’operazione tra Marx e Gramsci, un’invasione ed occupazione contemporaneamente della struttura e della sovrastruttura.
Veniamo ai fatti: Il Monte dei Paschi di Siena, antica banca fino a qualche anno fa feudo della sinistra comunista, ha lanciato un’OPS sul totale delle azioni di Mediobanca, banca che sotto la guida di Enrico Cuccia ha in passato condizionato gran parte delle grandi operazioni societarie e finanziarie italiane. OPS vuol dire Offerta di Scambio di Azioni e precisamente MPS offre 23 azioni sue per 10 azioni Mediobanca, che equivale a un prezzo di 15,992 euro per azione. L’obiettivo è quello di creare il terzo polo degli attivi (228 miliardi) dopo Banca Intesa (934 miliardi) e Unicredit (799 miliardi).

Perché diciamo che questa mossa rappresenta una novità nella politica di Governo, un tentativo di cambio di paradigma culturale e materiale dello Stato-nazione? Perché tale manovra è stata dichiaratamente voluta e sollecitata dal MEF (Ministero di Economia e Finanza, guidato da Giorgetti) e dalla premier Meloni. Lo Stato, infatti, detiene ancora l’11,7% del capitale di MPS e il Governo vuole contrastare l’Unicredit che, a sua volta, aveva – il 25 novembre – lanciato un’OPA su Banco BPM, facendo saltare il piano del Governo di creare un terzo polo nazionale MPS-BPM. Per favorire quest’ultimo disegno, il Governo aveva ceduto quote azionarie detenute di MPS a BPM, a Caltagirone ed eredi Del Vecchio. Dunque, fallito questo disegno, ecco improntatone un altro analogo: insieme a Caltagirone, Del Vecchio, il Governo tenta l’assalto a Mediobanca che significa anche mettere un piede dentro al colosso assicurativo Generali.
E’ normale, è corretto che il Governo, anziché neutrale verso il libero mercato finanziario, si schieri ed entri direttamente in gioco? Forza Italia, membro di coalizione governativa, dice che se si vuole portare a termine l’operazione, lo Stato deve prima liberarsi di tutte le restanti quote azionarie (l’11,7%). Per quanto riguarda Mediobanca, essa si è pronunciata ufficialmente martedì 28, bollando l’offerta come distruttrice di valore. Cosa dicono gli analisti di questa operazione, cosa dice il mercato? Le prime reazioni sono assolutamente negative. Rileviamo che siamo di fronte ad un tentativo di mettere insieme due banche completamente diverse e difficilmente componibili; il MPS banca tradizionale che accoglie risparmi e concede prestiti, attraverso una fitta rete di sportelli; Mediobanca, banca di investimenti e di gestione patrimoniali.
Non è scontato l’assemblaggio tra questi due diversi modelli. Cosa può fare Mediobanca che – come abbiamo detto – non gradisce l’operazione, già dichiarata ostile? Scatta intanto la cosiddetta “passivity rule” ovvero il blocco per Mediobanca che non può attivare mosse difensive, essendo stata già formalizzata l’offerta di scambio. Può, però, sperare e sollecitare offerte alternative di altri investitori (Unicredit o Intesa?). Detto tutto ciò, è giusto che tutti i cittadini, anche quelli di un’isola lontana dai grandi affari creditizi ed industriali come Ischia, debbano sapere come si rifletterebbe l’esito di queste vicende su noi comuni mortali.
Intanto MPS e Mediobanca sono banche molto più vicine agli interessi del Centro Nord che al Mezzogiorno; in secondo luogo passeremmo da Fassino del PD che annunciava improvvidamente per telefono a Consorte dell’Unipol: “Allora abbiamo una banca?” a Giorgetti che dice che l’operazione MPS- Mediobanca è salutare per la Nazione. Forse sarà salutare per grandi industriali come Caltagirone e Del Vecchio, ma ai poveri cristi, al normale commerciante, all’artigiano in difficoltà, al piccolo-medio imprenditore, ai giovani desiderosi di intraprendere un’attività, questa operazione porterà qualche beneficio? Intesa Sanpaolo incorporò il glorioso Banco di Napoli, di cui nel Mezzogiorno si conserva comunque l’insegna. Non sarebbe forse meglio un suo intervento nella vicenda? Intesa Sanpaolo ha, per esempio, deliberato di recente un finanziamento di 2,5 milioni di euro per housing sociale a Torino (sede dell’Istituto), per accogliere, in una struttura di 15 mila metri quadrati appartenenti al Comune di Torino, ben 90 famiglie rimaste senza lavoro e senza casa. Non sarebbe il caso che Intesa Sanpaolo rivolgesse le stesse attenzioni al Mezzogiorno, per esempio agli sfollati di Casamicciola per i quali si fa fatica a trovare alternative abitative? Di questo un Governo e le Banche farebbero bene a occuparsi, non solo alle grandi operazioni di egemonia culturale e creditizia.