La rete viaria borbonica dell’isola d’Ischia
Nel 1853 Ischia era un’isola bellissima ma assolutamente carente di vie di comunicazione con grave disagio dei 24 mila abitanti le cui attività erano fortemente ostacolate anche per la enorme difficoltà di avere rapporti con la terra ferma. Eppure l’agricoltura e le sorgenti termali concedevano da tempo risorse potenzialmente rilevanti per il suo soddisfacente sviluppo economico-sociale.
Finalmente la mano potente e benefica di re Ferdinando II prende a cuore i problemi ischitani e cominciano una serie di opere pubbliche che trasformeranno completamente il volto dell’isola fino a farla brillare come una delle più belle perle del golfo partenopeo.
Con 14.000 ducati (circa 300mila euro) si aprono i lavori con l’edificio che regola la più famosa sorgente termale del Gorgitello, presso Casamicciola, con addetti comunali. Allora soltanto dei tortuosi sentieri menavano dalla zona del castello a quella dei Bagni con pesanti disagi al trasporto di quanti ivi si curavano.
Ecco allora tracciata e realizzata una strada normale nominata meritatamente Ferdinandea che dal capoluogo attraversa il territorio per la costa di Casamicciola congiungendosi con altre vie, come quella battezzata Maria Teresa che va verso Lacco. I vari casali semi sperduti sono finalmente ben collegati e man mano altre costruzioni s’insediano lungo i facilitati percorsi.
Si inizia anche il collegamento per il circondario di Forio, con sistemazione del suo porticciolo, con vari ponti per superare le anfrattuosità collinari mediante la strada Regia. Varie altre carreggiate minori sono ristrutturate confluendo poi in quelle già citate. Il nuovo stupefacente porto del 1854 aumenta esponenzialmente l’importanza e la efficacia della rete viaria, come pure il cavo telegrafico tra isola e continente. Sono tre anni di febbrili e spettacolari lavori che modernizzano l’isola aprendola alle sue legittime aspettative agricole (addirittura degli esperti da Lipari perfezionano la viticoltura), termo terapeutiche e sempre più anche turistiche.
Da sottolineare che la maggior parte della spesa è a debito della Cassa Reale senza gravare sul bilancio oculato dello stato.
Chi si avventurasse ad analizzare i bilanci borbonici degli ultimi 25 anni non potrebbe non accorgersi del progressivo aumento della produttività (oggi diremmo del P.I.L.) e dell’aumento meno che proporzionale della pressione fiscale. In altre parole più la popolazione produce, più sta bene e meno tasse può pagare perché la spesa pubblica è attenta e sempre rivolta a favorire l’economia, segnatamente con i miglioramenti infrastrutturali come i trasporti.
Solo chi ignora questi aspetti della politica borbonica può azzardarsi a criticarne soprattutto la fiscalità. E pure chi ignora che il premier inglese Robert Peel non poté esimersi dal fare i complimenti a re Ferdinando per la riduzione di due balzelli d’importazione su zucchero e prodotti coloniali del 1843.
Al suo parlamento nel gennaio 1846, obtorto collo, affermò: «Il governo napolitano fu uno de primi che siasi affrettato a seguire questa linea di politica liberale. A rendere giustizia al Re di Napoli io devo dire cho ho veduto un documento scritto di suo pugno e questo documento contiene principii non meno veri di quelli sostenuti dai professori più insigni di economia pubblica».
In conclusione se lo stato preleva per investire nel benessere diretto o indiretto del popolo non avrà mai bisogno di inasprire i tributi perché essi naturalmente si affievoliranno per il migliore tenore di vita di tutta la nazione. Nel XIX secolo i Borbone lo avevano capito, che dire dei nostri governanti successivi?