ISCHIA STA AI NAPOLETANI COME MAIORCA STA AI TEDESCHI
Ho già avuto modo di sottolineare, in questa rubrica, come il turismo isolano sia diventato un groviglio di contraddizioni, del tipo: “Prego, accomodatevi ma non troppo”. Da un lato cioè facciamo di tutto perché arrivino masse di turisti, in quanto l’isola è grande e le strutture ricettive, termali e ristorative sono territorialmente diffuse e bisognevoli di essere alimentate redditualmente, d’altro lato ci lamentiamo dell’invasività, del disordine, del disturbo che fasce turistiche caciarone e, a volte sguaiate, arrecano.
Per dirla con Mozart, nel Don Giovanni: “Vorrei e non vorrei…” solo che resta il dubbio se mai “Là ci darem la mano”. Ma non deve stupire questa contraddizione ischitana, che Nino Taranto avrebbe descritto con “Mamma…Ciccio mi tocca e nun m’adda tuccà”; non deve stupire, perché nell’isola delle Baleari spagnole, Maiorca, accade di peggio. Lì non hanno il problema dell’invasione dei napoletani, ma – udite, udite! – dei tedeschi. Non ne possono più delle spiagge strapiene, dei tedeschi ubriachi di birra e imbottiti di wurstel. E’ stato un rapper (Rels B.) a sfogarsi pubblicamente in nome della popolazione locale contro l’uberturismo tedesco.
I residenti stanno ribellandosi, si riuniscono in Associazioni per dichiarare guerra al turismo di massa di origine tedesca. Mentre Ischia, dagli anni 60 incominciava a essere abbandonata dal turismo tedesco (almeno in parte), da Colonia e da Dortmund partivano nuove ondate di teutonici diretti alle spiagge di Palma, soprattutto richiamate da un famoso chiosco che fu, per anni, il simbolo del jet set tedesco a Maiorca.
Voli low cost e nuovi alberghi incentivarono l’invasione tedesca. In pochi anni il numero di turisti a Maiorca salì a 18 milioni all’anno. Megafeste, secchiate di sangria da sorbire collettivamente con cannucce di gruppo, insufficienza dell’acqua potabile e una bolla immobiliare con prezzi alle stelle. Ma, ovviamente, i tedeschi portano soldi e quindi non tutti sono d’accordo a far loro la guerra.
Tutto il mondo è paese e, onestamente, non so, tra Ischia e Maiorca chi se la passa peggio. Paradosso dei paradossi è che, secondo un epiteto ottocentesco, Maiorca è definita “l’isola della calma”.
I residenti di Maiorca, a occhio e croce, sono dieci volte di più di quelli dell’isola d’Ischia e la sua capitale, Palma (adesso si chiama semplicemente così dopo aver cambiato nome 4 volte) accoglie la metà dell’intera popolazione di Maiorca. La lingua parlata è il “mallorqui”, una variante della lingua catalana, così come “menorqui” è quella parlata a Minorca. Gli abitanti si chiamano” maiorchini”. A Maiorca vivono circa 17 mila italiani. Curiosità politica: Maiorca ha dichiarato il leader della Lega, Matteo Salvini “persona non gradita”.
Interessante la disciplina della zona a traffico limitato a Palma: i pedoni hanno sempre il diritto di precedenza; i ciclisti sono ammessi in entrambe le direzioni; la velocità massima è di 20 km/orari (alla faccia di chi a Ischia trova scandalosi i 30 km orari) i veicoli dei residenti devono esporre un bollino che si chiama “Distintivo ambiental” per l’accesso alla ZTL consentito per vari importanti motivi; mentre le auto straniere non possono acquistare bollini.
Le Baleari (tra cui Maiorca) costituiscono una delle 17 Comunità Autonome della Spagna e godono, in quanto tali, di autonomia amministrativa e finanziaria nonché, per alcune materie, di potere legislativo ed esecutivo. Non so se, in qualche modo, possa essere assimilata la Comunità Autonoma spagnola alla “Autonomia differenziata” che si vuole per le Regioni italiane. Detto questo, va precisato che la tendenza mondiale dei flussi turistici, da un anno e mezzo a questa parte, è che diminuisce il flusso interno (nazionale) e aumenta il flusso esterno (internazionale). La mia impressione è che tale tendenza favorirà più Ischia che Maiorca e le Baleari in generale.
E’ evidente che dopo la pandemia, è esplosa la voglia dei cittadini del mondo di viaggiare con maggiore libertà e più ampio raggio di azione. Questo, per Maiorca, non si tradurrà, molto probabilmente, in una diminuzione del flusso tedesco, mentre per Ischia, con ogni probabilità, saranno deviate fasce del turismo napoletano e campano (ai quali il turismo sta apportando maggior reddito) in giro per il mondo, mentre arriveranno molti più turisti stranieri (americani, inglesi, europei del nord, dell’est e dell’ovest).
Ovvio che questo processo previsionale si avvererà quanto più l’isola d’Ischia saprà incentivare la propria offerta, non più basata sul solo consumismo e sulla facile contentatura di acquisto merci e servizi di secondo ordine, ma basata sulla qualità, sull’originalità, sull’ecologia e su un divertimento ordinato, di buon gusto e rispettoso della quiete pubblica, Il CEO & Owner del Regina Isabella Resort, ing. Giancarlo Carriero, in una recente intervista televisiva, ha affermato che Ischia deve ampliare la stagione turistica programmando grandi eventi, anche al di fuori dei quattro fatidici mesi estivi e ha precisato che non si riferisce solo ai tradizionali eventi ischitani, come i Festival cinematografici, giornalistici, musicali ma ampliando la sfera di interessi: eventi sportivi, culturali, convegnistici. Ha precisato ancora che occorre, per il futuro, una capiente Sala Congressi, autonoma rispetto agli alberghi, che possa essere al servizio di tutti i Comuni dell’isola.
D’accordo, forse la struttura è realizzabile (per esempio modificando i locali di quello che doveva essere il nuovo mercato a Ischia, in zona Polifunzionale, e di una serie di locali annessi (dove è scoppiato il bubbone dell’occupazione abusiva o tacitamente tollerata). Potrebbe essere costruito con un accordo fra tutti i Comuni per un unico Progetto isolano. Ma il problema non è solo strutturale, ma culturale. Affinché ci sia un ribaltamento della logica degli eventi dovrebbe migliorare e rafforzarsi lo spessore culturale e la vision di amministratori e consiglieri comunali, oltre che di tutta la classe imprenditoriale locale.
Non è impresa impossibile. Ma difficile sì!