UN SUICIDIO DI CUI VERGOGNARCI
Dalla sovraesposizione all’isolamento, il disagio giovanile che non sappiamo riconoscere
La Preside della Scuola Pacinotti di Fondi (Lt) si è detta dispiaciuta e meravigliata del suicidio del quattordicenne Paolo Mendico, vessato da anni da compagni e incompreso da insegnanti ed istituzioni di supporto. La Preside dice che dai genitori non era pervenuta alcuna lamentela e dai verbali dei consigli di classe non era emersa alcuna criticità. Questa la dice lunga sull’enorme difficoltà della scuola di interpretare le ansie, le sofferenze e i disagi giovanili. Parliamo di un ragazzo sensibile, riservato, che amava la musica, portava i capelli lunghi e non sopportava il linguaggio volgare. Al suo funerale era presente un solo compagno (l’unico sensibile come lui) e nessun genitore degli altri.

Provo vergogna al posto di quelli che non si sono vergognati. La diversità, in questa società di sovraesposizione mediatica e parolaia, non viene tollerata. La pecorella allontanatasi dal gregge viene emarginata. Questa vicenda dolorosa ed emblematica del malessere sociale attuale viene spiegata con chiarezza, anche se non riferita specificamente alla tragica vicenda del quattordicenne, su Repubblica, da due eminenti psicanalisti, Massimo Ammanniti e Massimo Recalcati e da una grande scrittrice, emigrata da anni in Giappone, Laura Imai Messina.

Esaminiamo le loro tesi. Massimo Recalcati, nel suo libro “La luce e l’onda” spiega che cosa s’intende per “maestro” e cosa deve trasmettere un maestro. La “luce” rappresenta la libertà e “l’onda” rappresenta il comando, il carisma dell’insegnante. La scuola, attraverso i suoi insegnanti, deve essere, ad un tempo, istituzione e il suo contrario, creatività e autorità. Nel caso del quattordicenne suicida, la scuola non è stata né luce né onda. Ammaniti fa un “elogio della timidezza” ed evidenzia un conflitto tra spiritualità e contingenza, ove per contingenza s’intende l’ansia odierna di essere sempre al passo con i social, in maniera compulsiva, con una vigilanza continua con l’occhio rivolto al display dello smartphone.

Ammaniti cita anche lo scrittore, di origine marocchina, Tahar ben Jelloun “Di fronte al diluvio di informazioni vere o false, belle o brutte, grandiose o patetiche, l’uomo è indifeso”. E figuriamoci un ragazzo di 14 anni che sente di doversi differenziare dalla moltitudine, obnubilata dal presenzialismo mediatico. In questa società in cui tutto diventa spettacolo ed esibizione di sé, i timidi si sottraggono e preferiscono rimanere nell’ombra, nell’invisibilità sociale. E, per contrappunto, Laura Imai Messina, ospite del Festival delle Idee di Mestre, ci fa capire come un Paese meraviglioso e affascinante come il Giappone, rappresenti l’antidoto alla sovraesposizione e alla esibizione delle persone, cosa che è una, se non la principale causa, della decadenza dell’Occidente.
La scrittrice dipinge, con la sua scrittura, ammaliante, l’intimismo giapponese. Ci fa capire come, per i giapponesi, ci sia non l’horror vacui, bensì l’horror pleni, ovvero non la paura del vuoto, dell’assenza bensì la paura del troppo pieno e del presenzialismo soffocante. Non a caso, una delle filosofie ricorrenti in Giappone è l’animismo scintoista, secondo cui esiste, in ogni elemento della Natura (dagli alberi alle rocce) una forma di deità. Questi concetti sono stati magnificamente espressi nel film “Perfect days” del 2023, del regista Wim Wenders, incentrato sul personaggio di un pulitore di bagni pubblici di Tokio, dotato di una sensibilità, di un intimismo, di una maniacale cura anche dei compiti apparentemente più umili (come la pulizia quotidiana dei bagni pubblici) e la capacità di intravedere, in una semplice piantina o in un raggio di luce che filtra tra gli alberi, l’essenza e la bellezza della vita.
Dunque, mettendo assieme quanto scritto da Ammaniti, da Recalcati e da Messina, si conclude che la timidezza e l’intimità, la riservatezza e la compostezza, la sensibilità verso se stessi e verso il mondo che ci circonda possono ancora salvare il mondo. I ragazzi come Mendico, l’eccezione in una società scelleratamente massificata, rappresenta il meglio, non il peggio, la salvezza non la morte. Anche se Paolo si è suicidato. La sua è una morte in difesa della vita e dell’individuo, di una vita che valga la pena di essere vissuta.