QUANTO SONO NATURALI LE CATASTROFI NATURALI?

QUANTO SONO NATURALI LE CATASTROFI NATURALI?

L’interrogativo posto nel titolo è quello che si pose Manlio Rossi Doria, economista, politico e docente universitario ad Agraria di Portici, nel suo libro “la polpa e l’osso”. Il mio amico prof. Francesco Rispoli cura, su un quotidiano locale, una rubrica settimanale che ne riprende il titolo. Il 3 maggio prossimo, a Villa Arbusto, organizzato da Comune di Lacco Ameno, Museo di Pithecusae e Lyons Club, si tiene un Convegno sulle nuove prospettive di una Pianificazione territoriale. Ma perché lo si fa il giorno dopo la scadenza per la presentazione di osservazioni al Piano Paesaggistico? Perché rinunciare a portare in tempo un contributo al miglioramento del Piano? All’interno di questo Convegno si parlerà molto di nuovo Mezzogiorno e il docente di Storia Economica dell’Università Luigi Vanvitelli, Amedeo Lepore, parlerà proprio di Polpa e osso del Mezzogiorno.

Per chi non lo sapesse, per “polpa” Rossi Doria intendeva le aree produttive e urbanizzate, la pianura del Mezzogiorno. E per “osso” intendeva invece le zone interne, che vengono sempre più trascurate, abbandonate, desertificate, prosciugate. Naturalmente, nel corso degli ultimi anni, questa problematica dello “svuotamento e del riempimento” contrapposti ha assunto connotazioni diverse, determinate da fenomeni socio-economici della modernità. Vedasi, per esempio, l’overtourism nelle fasce costiere. La Regione Campania, sia a livello di comunicazione che nella distribuzione di risorse, ha incominciato ad invertire il trend, che portava ad uno sbilanciamento eccessivo tra una polpa che s’ingrossava e un osso sempre più scarnificato.

Si parla e si agisce oggi di più in direzione della valorizzazione di zone interne, di montagna, di campagna, che offrono al turista una nuova conciliazione con la Natura, con il relax, col benessere psico-fisico. Ovviamente quel che è vero per l’intero Mezzogiorno, per l’intera Campania (Napoli scoppia di visitatori, le Province di Caserta, Avellino, Benevento hanno risorse naturali ancora da scoprire) è vero anche all’interno dell’isola d’Ischia. La fascia costiera (da Ischia a Forio, ai Maronti, a Sant’Angelo) più battuta dai turisti è ipersviluppata, sia pure in maniera caotica e disordinata, mentre molte zone collinari o periferiche o ai piedi dell’Epomeo, restano ancora sottodimensionate. Aggiungiamoci che la divisione in sei Comuni ha determinato una crescita squilibrata nelle infrastrutture essenziali: la maggior parte dei servizi pubblici è concentrata sulla fascia costiera (in particolare nel Comune d’Ischia che, per anni, ha avuto un ruolo di capoluogo di fatto).

Questo ha determinato paralisi del traffico, maggiore incidentalità, confusione, degrado acustico e dell’aria, aumento esponenziale dei fitti di abitazioni e negozi e, in generale, del costo della vita.  A proposito di polpa e osso e di periferie, come non considerare che, per esempio, Casamicciola, ma anche Lacco Ameno e Serrara possono considerarsi periferie rispetto ai poli urbani di Ischia e Forio? Casamicciola, martoriata negli ultimi anni da catastrofi (naturali?) e dalla malagestio amministrativa è scivolata nel gradino più basso della graduatoria isolana, priva di luoghi di aggregazione (speriamo nella piazza Marina in rivisitazione), priva di cinema, teatro, museo, biblioteca, banca, per cui ha la necessità di ricostruzione sociale oltre che materiale. E ci vorrebbe la “politica del mestiere” predicata da Manlio Rossi Doria per raddrizzare lo sviluppo distorto dell’isola d’Ischia. La chiamava così l’economista meridionalista (che non era meridionale ma romano) per indicare la politica fatta di competenze, analisi, sperimentazione, obbligo di verifica, slancio ideale. Tutto quello che è mancato a Ischia. In questo quadro a tinte fosche, ci si offre l’occasione di partecipare ed incidere sulla pianificazione (Piano di Ricostruzione per i tre Comuni terremotati e Piano Paesaggistico isolano) e che cosa fanno le Amministrazioni comunali? Si attardano in polemiche generiche ma, di fatto, non offrono soluzioni alternative che siano diverse dal piagnisteo che reclama flessibilità di vincoli urbanistici. E la necessità di riequilibrare un territorio sbilanciato, a due velocità, tra la polpa e l’osso? La necessità di valorizzare la collina, la montagna? La necessità di decentrare alcuni servizi pubblici per attenuare la mobilità esasperata all’interno dell’isola? La necessità di presidiare la montagna, da cui scaturiscono squilibri del terreno, smottamenti, frane? La necessità di creare un’edilizia pubblica ricavata dal recupero di immobili in disuso o di attività obsolete? La necessità di offrire all’attuale modello turistico un’alternativa di turismo lento ed eco compatibile, fatto di percorsi in sentieri di montagna, di agricoltura moderna e non invasiva, di fattorie didattiche, di enogastronomia che sfrutta le erbe locali? E poi ci lamentiamo che l’isola continua a franare, smottare, cadere sotto i magli di un’edilizia incontrollata e scellerata. E ce la prendiamo con la Natura malvagia e le catastrofi o con qualche giudice inflessibile. E allora, con Manlio Rossi Doria, chiediamoci: “Quanto sono naturali le catastrofi naturali?” E chiediamoci ancora: si può vivere e progredire con l’osso sempre più scarnificato?

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Franco Borgogna

Franco Borgogna

Giornalista "glocal" e' la mia ambizione, un indagatore della società locale, consapevole che Ischia e' parte di un mondo dai confini vasti e che ciò che succede nel mondo globale si riverbera sull'isola così come le sorti del patrimonio naturale e culturale di Ischia riguardano il mondo intero.