IL CARCERE BORBONICO DEL CASTELLO
PER L’APPUNTAMENTO CON “PILLOLE DI STORIA”
Nel 1806, il il Regno di Napoli fu dato a Giuseppe Bonaparte fratello di Napoleone I e, il 13 febbraio 1806, l’armata francese diede assalto al castello di Ischia. Fatta prigioniera la guarnigione borbonica, vi pose un forte presidio per guardare la rocca dagli inglesi e dai siciliani (cfr. Il castello di Ischia, Stanislao E.Mariotti p.47; l’isola di Ischia, il mito e la storia, di Raffaele Castagna. Vi ho già parlato degli eventi del 1809. Li trovate qui: https://www.facebook.com/share/p/1FssE1c9kx/
I danni provocati all’Isolotto, fecero avviare un piano strategico di riconversione di alcune strutture ancora in piedi al fine di militarizzare l’isolotto. Si voleva costruire una nuova piazza d’armi sul ponte d’accesso allo stesso.
Il decennio napoleonico terminò nel 1815. A settembre 1815, il il supremo consiglio di guerra redigeva un piano territoriale che coinvolgeva le tre isole del Golfo di Napoli. Fu ristabilita la ristrutturazione degli edifici già occupati, l’utilizzo della chiesetta di San Pietro a Pantaniello da destinare a cappella dei militari, nonostante le ridotte dimensioni, e la trasformazione della chiesa di Santa Maria della libera in “ospedaletto militare” (Ilia Delizia, 375). A questa fase della prima restaurazione risalgono una serie di progetti che prevedevano la ristrutturazione di tre punti nodali per lo sfruttamento militare migliore dell’Isolotto: la ristrutturazione della batteria del molo, del padiglione militare San Francesco, e la riconversione dell’ex vescovado”. Tutta l’isola nel piano di difesa territoriale, fu aggregata al distretto di Pozzuoli e alla provincia di Napoli. Il 23 maggio 1818, il sottointendente del distretto di Pozzuoli, duca di Cutrofiano, chiedeva al sindaco di Ischia, per motivi di sicurezza, di abbattere gli edifici pericolanti nei pressi delle strade, che percorrevano i militari. L’architetto Benedetto Iovine fu incaricato dal sindaco di individuare tutti i proprietari; la relazione di Iovine fu consegnata Il 2 giugno 1818. Le demolizioni dovevano essere eseguite dai proprietari, in caso di inosservanza, affidati all’architetto. Iovine precisava che: “si devono demolire tutte le fabbriche cadenti che non si conoscono li padroni, e che vi sono alcune porzioni all’impiedi che sono di gran pericolo e sono tutte quelle che sono da sotto al cortile del vescovado fino alla Sarracina”. La sovrana risoluzione che sancì in modo definitivo irreparabile la sorte del Castello, e poi conseguentemente di tutto l’isolotto, fu emanata il 31 gennaio 1823 dal ministero e segreteria di Stato degli affari interni. Si stabiliva di “ridurre il luogo di pena il locale ove era situata l’antica città di Ischia”. Inoltre, onde evitare una pericolosa promiscuità, si stabiliva che la regia corte avrebbe acquistato terreni agricoli, giardini ed edifici privati, anche in cattivo stato di conservazione. Il 15 marzo Michelangelo del Gaizo fu incaricato dal segretario di Stati per gli affari di guerra e marina, Marchese Amati, di documentare tutte le proprietà che insistevano sull’isolotto per predisporre un piano di esproprio e ottenere la totale proprietà del sito (Delizia 3004,135). Lo stesso, fece realizzare la planimetria dell’Isolotto. Per portare a termine velocemente l’incarico, del Gaizo fu supportato dal direttore del Genio, Francesco Saverio Ferrara e da altre figure sempre del Genio, il capitano di dettaglio e l’aiutante della piazza, e del sindaco d’Ischia. Tra i proprietari di fondi ed edifici sul castello, è interessante citare i nomi dei proprietari più noti: Don Sipione d’Oro, Chiara De Laurentiis, Don Giovanni Calosirti, Don Nicola Linfreschi. Il sindaco di Ischia si affretta ad inviare la nota richiesta, e nel 4 settembre 1823, la sottointendenza del distretto di Pozzuoli gli comunica il decreto del Re Ferdinando I del 12 agosto 1823, per il quale tutto quanto è compreso nell’antica città di Ischia apparterà alla regia corte e farà parte del demanio e ai proprietari espropriati sarà pagato il prezzo, giusta l’estimo, fatto dall’architetto Don Michelangelo Del Gaizo. In tal modo, dal 1823 in poi, il Maschio ufficialmente diventò ergastolo e spogliato di ogni ricordo dell’antica grandezza, ridotte le sue stanze a tristi e tetri cameroni e riaperti e riattati gli antichi ed orridi sotterranei a prigioni prive di aria e di luce. Il carcere ospitò detenuti comuni prima, e poi anche detenuti i politici. Nel 1851 furono deportati: Carlo Poerio, Nicola Nisco, Michele Pironti, Silvio Spaventa, Filippo Agresti, oppositori di re Ferdinando II. Con l’Unità d’Italia, i prigionieri politici furono liberati mentre i detenuti per reati comuni rimasero per un breve periodo nel carcere ischitano: nel 1861, furono internati nel castello i prigionieri di Gaeta e, quando questi furono liberati, il castello fu del tutto abbandonato alla custodia dei pochi abitanti ivi rimasti (Mariotti 2007, 54). Questa situazione di abbandono viene registrata dallo storico isolano Giuseppe d’ascia nel 1867: “il bagno di pena fu abolito, la guarnigione ritirata, ed oggi non rappresenta questo castello più nulla. È uno scoglio abbandonato, in potere del Regio demanio che un giorno o l’altro l’esporrà in vendita”. Anche se oramai depauperato e in parte disabitato, i terreni continuavano ad essere affittati, come dimostra il documento del comando militare dell’isola d’Ischia, processo verbale indicante la consegna e possesso preso da Antuono Agnese di nove pezzi di terreno siti nel forte di Ischia, sottoscritto il primo novembre 1862 tra il capitano Pasquale Wenzel comandante militare della piazza ed isola, reggente la commissione di guerra, Agnese indicato nell’intitolazione del contratto e Pietro Migliaccio consocio. Dal documento emerge la frammentazione degli appezzamenti di terreno tipici di un territorio accidentato quello dell’Isolotto. Inoltre è possibile risalire alle coltivazioni poiché il contratto fu stipulato con la perizia di un perito di agricoltura, ed essendosi numerate tutte le piante nei precisati pezzi di terreno (Castagna 2017). Le essenze erano viti, fichi, pesche, limoni, olive, coltivazioni tipiche isolane. Questo tipo di sfruttamento dei territori dell’Isolotto continuò per tutto il secolo fino a quando nel 1912 si decise di alienare tutte le fabbriche dell’isolotto vendendole in un unico blocco a un’asta pubblica. Nicola Ernesto Mattera, noto avvocato ischitano, si aggiudicò la vendita. L’anno seguente tutti i terreni furono venduti direttamente a Mattera. Le architetture furono pagate 25.000 lire, e i terreni 18.000 lire (Barbieri 1981).
Altre fonti: “Città e guerra : difese, distruzioni, permanenze delle memorie e dell’immagine urbana. Tomo I : fonti e testimonianze, 2023, di Francesca Capano, Emma Maglio, Massimo Visone, università Federico II di Napoli.