Riprendiamoci lo sport
“Inizia il campionato di calcio: un’occasione per ripensare il senso dello sport”
La ripresa del campionato di serie A offre lo spunto per alcune considerazioni sul significato dello sport che necessariamente si collega alla concezione dell’uomo nella nostra società e al generale degrado dei costumi.
Chi vive in particolare il mondo del calcio ad alto e basso livello sa che la violenza, a volte eclatante a volte minima, è purtroppo pane quotidiano.

Quanti genitori si azzuffano sugli spalti durante le partite giocate dai loro figli? Quanti opinionisti e rappresentanti dei mezzi di comunicazione o pseudo tali alimentano, nel corso delle trasmissioni sportive, sospetti, complotti e sentimenti di odio tirando in ballo ragioni sociali ed economiche di eterna subordinazione del Sud al Nord che poco hanno a che vedere con lo sport?
La crisi dello sport più popolare in Italia è l’espressione della crisi profonda della concezione dell’uomo nella nostra società che è scivolata verso un relativismo culturale che tutto travolge.
Se non si riconosce il valore assoluto della propria persona in quanto essere unico e irripetibile non si può riconoscere il valore assoluto e inviolabile dell’altro. L’altro sarà sempre un potenziale nemico sia che appartenga alla squadra avversaria o che sia il vicino di casa che dà fastidio.
Non basta ricercare nuove regole. E, infatti, mentre da un lato le istituzioni sono impegnate a definirne di nuove, a individuare adeguati organi di controllo, a ricercare nuove modalità per dividere i diritti televisivi e dall’altro gli opinionisti e le tifoserie sono occupate a predicare che “dove girano i soldi, tutto diventa inevitabilmente sporco”, accade l’imprevisto: la nazionale conquista il titolo europeo.
È un’impresa che ci travolge tutti, ci stupisce perché tocca le corde profonde del nostro cuore; qualcosa di cui la vittoria non è la sostanza ma lo splendido coronamento.
Eppure è evidente che i protagonisti sono gli stessi e nessuno può sottrarsi alle proprie responsabilità.
Emerge così un equivoco antico che ha segnato da sempre la storia dello sport seguendo un processo tragicamente frequente nella modernità: la pretesa ideologica di attribuire valore assoluto adun evento separandolo dalla tradizione che l’ha generato.
“Lo sport fa bene” ci diciamo da sempre; “Lo sport toglie dalla strada”; “Fare sport insegna a faticare insieme” e così via. Siamo diventati esperti nell’isolare dei valori, che abbiamo chiamato sportivi, costruendoci attorno cittadelle dove contemplarli compiaciuti e stracciarci le vesta se qualcuno li inquina.
Ma l’origine dello sport è ben altra, nato nel cuore di uomini profondamente coinvolti nella vita e nella storia.
Nei colleges inglesi dell’‘800 lo sport nasce con lo scopo dichiarato di educare i giovani, di valorizzare le energie del corpo in funzione della crescita umana integrale della persona. Tutti gli sport moderni, dal football al rugby, tennis, canottaggio, atletica, basket, volley, boxe, ecc. sbocciano dalle mani di una generazione di educatori anglosassoni che li ideavano, li elaboravano, perfezionavano come strumenti educativi.
Il loro ideale umano si rifaceva al cavaliere medievale che incarnava i valori cristiani di sacrificio, lealtà, obbedienza, solidarietà, rispetto dell’avversario.
Lo sport è uno strumento potentissimo perché arriva in profondità nel cuore dell’uomo e quindi può far emergere meraviglie ma anche provocare disastri.
Lo sport dunque non è un valore in sé, rigido e immutabile, ma uno strumento che si può plasmare. Dipende perciò da come lo si usa e come lo si può adattare allo scopo e alla situazione. Sia che siamo allenatori, atleti, dirigenti, imprenditori, genitori, tifosi o semplici appassionati, si deve modificare profondamente il nostro sguardo sullo sport. Dobbiamo quindi lasciarci educare perché si tratta di intraprendere un cammino lungo e contro corrente.
Per cambiare lo sport la difficile partita da giocare è l’educazione.
Occorre a tutti i livelli ricostruire nelle persone la capacità di usare la ragione secondo tutte le sue possibilità.
Occorre ricreare la capacità di guardare all’avversario come persona e non come nemico.
Occorre che i responsabili dello sport, CONI, Federazioni ed Enti di Promozione Sportiva innanzitutto e i media riflettano sulle loro responsabilità al riguardo e guardino, valorizzandole, a esperienze positive, che non mancano, le quali vivono lo sport come educazione integrale della persona.L’educazione è responsabilità di tutti.
Buon campionato!