SISTEMI DI DIFESA MILITARE SULL’ISOLA NEL CORSO DEI SECOLI
Prima parte
“Fin da tempo immemorabile, scrive l’Onorato, il Governo prese gli opportuni espedienti” per destinare sull’Epomeo la “prima vista”, una guardia giornaliera di tre uomini, allo scopo di scrutare e riferire su qualsiasi legno sospetto avvistato nel mare attorno all’Isola. Giulio Jasolino ed altri, fine ‘500, ricordano il monte della guardia, dove già esisteva la “seconda vista”. Quindi il “tempo immemorabile” dovette corrispondere tra la seconda metà del Quattrocento e la prima del Cinquecento. Del resto, Barano pagava per il “pilota su S.Nicola” ancora nel 1807.

Nel 1844 il ministro della guerra dispose che il segnalatore telegrafico Aniello Antonio Matarese, essendo passato a nozze, avesse lasciato “la stanza dei segnalatori posta in San Nicola, ceduta dal superiore dell’Eremo dietro l’annuo pagamento di ducati 6”, e nel 1850 il posto fu tolto a Don Vincenzo Manzi. Intanto nei quaderni parrocchiali di Testaccio il parroco don Albino Di Meglio annota che il 24 giugno 1544 era venuto “Barbarusso” con 136 vele e aveva catturato 75 persone, facendo seguito alla precedente scorreria del 16 luglio 1536, preso il Casale di Testaccio, aveva catturato 22 persone. Nel 1592 una delibera dell’università di Forio (circoscrizioni amministrative paragonabili agli attuali Comuni) ci permette di entrare nell’ordine di quella che era la difesa, perché ci parla del bombardero del Torrione, nonché del contributo assegnatole per le guardie notturne della Città d’Ischia. Onorato ci fa sapere ancora che la seconda vista veniva effettuata dal “monte della frasca” poco più sotto dell’Epomeo, e che la terza stava sul colle della Sparaina.

Le guardie assegnate a questi posti venivano nominati dalla Città, remunerate con dodici ducati annui e l’uso dello schioppo, ricevendo le patenti dal castellano. Nel 1623 ancora Forio, unitamente col Casale di Panza, chiedeva di imporre una gabella il cui ricavato sarebbe dovuto servire per farne caselle alla gente che fanno le guardie a turno alle marine per li turchi, cioè per costruire garitte per posti di guardia. Le torri dell’isola non erano tutte pubbliche. Vi erano anche torri di privati di “particulari” come diceva il rapporto del 1576.
A Forio erano pubbliche il Torrione e la torre degli Invalidi e della Cornacchia, sulla punta omonima. Capo sergente ne era nel 1795 Ambrogio Arcamone. La torre di Zaro ospitava, insieme con quella di Sant’Angelo, soldati del battaglione degli invalidi, proprio invalidi di guarigione. A Lacco, sul Monte Vico, c’era la torre omonima, il cui capo torriero era nel 1795 Vincenzo Monti.

All’Università di Barano correva l’obbligo di contribuire insieme a Forio e Fontana alla torre di Sant’Angelo.
A Testaccio vi era una torre privata della famiglia Pesce. Durante il Seicento e dopo, le persone addette alle guardie notturne e diurne venivano passate in rivista o dal castellano, o da persona da lui destinata. Anzi, al Capitano a guerra correva obbligo di fare l’accesso nelle varie torri per verificarne lo stato.
Sembra di capire che la Costa fosse vigilata da una felluga di guardia o da più di una, incrocianti attorno all’Isola o in alcune zone di mare, a loro volta protette, forse, da lancioni.
Agli inizi del Settecento, Varano pagava venti carlini al mese a “quello che tiene il registro o rollo” per le guardie notturne. Il cordone era un servizio straordinario per le circostanze come peste, ricerca di evasi, eccetera. E negli anni settanta l’Università pagava ducati 6,64 per dipartimento della torre di Sant’Angelo, altri ducati per la revisione della stessa, altri ancora per la casa della squadra di campagna e per la stessa squadra. Le armi erano custodite da persona addetta, che in Barano fu per un lungo tempo il cancelliere dell’Università Vincenzo Buono. Sempre a Barano, il Grado della Guardia era una delle colline (molto probabilmente l’attuale Guardiola), scelte perché un turno di guardia si montasse per la osservazione e l’annuncio di velieri in vista all’orizzonte.
Fonte: Barano d’Ischia, Storia, G.G. Cervera e Di Lustro Agostino, pagine81 e seguenti.
Fine prima parte