“ANCORA UNO”
Con questo siamo a 6, in meno di 4 mesi.
Siamo cosa?
Per 8 volte, perduti, impotenti, soli.
La ripetizione non consente di immaginare il gesto come una cosa individuale.
Uno si toglie la vita, questo è soggettivo. Ma se siamo in 8, abbiamo una serie, cioè un legame tra gli eventi, perché avviene nello stesso luogo.
La serie ci permette di porre una domanda: “ancora uno, cosa succede a Ischia?”
Almeno due cose.
1. La vergogna e la difficoltà di rivolgerci all’altro, per ciò che si sente, per ciò che preoccupa, è un fatto. Propongo un’equazione:
– parlo => – c’è l’altro => + sono solo => + passo all’atto => si parla di me.
Il parlare torna drammaticamente alla fine: “si parla di me”, quando però è troppo tardi.
2. Chi è nella posizione di ascoltare, non sa che dire: non una risposta, non una proposta, non un dibattito. Il parlarne, quello alla fine dell’equazione, è un appello disperato della comunità.
Ma l’appello cade nel vuoto, le istituzioni tacciono.
Siamo come un neonato che piange, solo col suo corpo che soffre, e la madre… non c’è.